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General : CHE GUEVARA
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 Message 1 of 4 in Discussion 
From: Luca  (Original Message)Sent: 1/11/2008 12:25 AM
 
 

Ernesto Che Guevara, l'eroe per eccellenza

Ernesto Che Guevara, l'eroe per eccellenza

Il comandante Ernesto "Che" Guevara moriva il 9 ottobre 1967 in Bolivia.

Il comandante Ernesto "Che" Guevara in una immagine del Gennaio 1965.

Una foto che ritrae il Che in Bolivia. La foto fu la prova della presenza del Che nel paese e venne in mano ai boliviani catturando dei guerriglieri.

Che Guevara legge un libro sdriato per terra durante la sua campagna africana in Congo.

La foto del passaporto con cui il Che Guevara decise di entrare in Bolivia sotto falsa identità: Adolfo Mena, nato a Montevideo, Uruguay

Una foto del 1965 che ritrae Che Guevara con in braccio un bambino e al fianco un guerrigliero durante la sua campagna africana in Congo.

Il ministro dell'industria cubano arriva all'aeroporto a New York il 9 dicembre 1965 per l'assemblea generale delle nazioni unite.

Che Guevara mentre si rade durante la sua permanenza lunghe le coste del Lago Tanganika in Africa.

Che Guevara durante una conferenza stampa a New York prima dell'apertura della sessione plenaria dell'U.N. Trade and Development.

Che Guevara, nel ruolo di ministro dell'Industria cubano, fuma un sigaro in attesa che abbia inizio un programma tv che lo vede protagonista a New York.

Un ufficiale dell'aeronautica militare boliviana, visibilmente infastidito dall'odore dell'ambiente, spiega i dettagli ai giornalisti presenti.

Secondo le prime informazioni diffuse dall'esercito boliviano, il Che Guevara venne ucciso durante uno scontro a fuoco nella giungla.

Una foto che comprende una delle ultime immagini di Che Guevara prima di essere catturato in Bolovia (insieme al suo asino) e l'ultima pagina del suo diario personale datata il giorno prima della cattura. Parte del diario venne venduto all'asta da Sotheby's il 16 luglio 1984 per circa 250.000 sterline (circa 350.000 dollari).

Fidel Castro (immagine del 1960) e Che Guevara (1964).

 

varela

...Ti chiederanno di giurare
ti chiederanno di marciare
ti chiederanno le stesse cose
come hanno fatto a me.
Diranno che è tutto tuo
e se tenti di cambiarlo
ti pesteranno più forte
come hanno fatto a me.
Non ti serve a nulla sapere la verità
e avere ragione,
se quando gridi sai che
non ti ascoltano più...

Sfumature di Cuba

...Ti racconteranno la storia
e col passare del tempo
ti benderanno gli occhi,
come hanno fatto a me.

Che

Autoritratto oscuro 

Da una giovane nazione con radici d'erba
(radici che negano la rabbia d'America)
io vengo a voi fratelli del nord.

Gravato di grida di scoramento e fede,
io vengo a voi, fratelli del nord,
vengo donde vennero gli "homo sapiens",
divorando chilometri in riti transumanti;
con la mia materia asmatica che porto come una croce
e nelle viscere aliene da metafore sconnesse.

La strada fu lunga ed assai grave il peso,
persiste in me l'aroma di passi vagabondi
e persino nel naufragio del mio essere sotterraneo
- benché si annuncino rive di salvezza -
nuoto svogliato contro la risacca,
serbando intatta la condizione di naufrago.

Sono solo davanti alla notte inesorabile
e a un ricordo dolciastro di biglietti.
L'Europa mi chiama con voce di vino vecchio,
alito di carne bionda, oggetti da museo.

E nell'allegro irrompe di paesi nuovi
ricevo in fronte l'impatto diffuso
della canzone, di Marx ed Engels,
che Lenin esegue e i popoli intonano.

(Ernesto Che Guevara)

LETTERA SULLA MORTE DEL CHE

LETTERA SULLA MORTE DEL CHE   

 Julio Cortázar

 

Lettera a Roberto Fernández Retamar
Sulla morte del “Che�?Guevara

Parigi, 29 Ottobre 1967

Miei carissimi Roberto, Adelaida:
Ieri notte sono tornato a Parigi da Algeri. Solo ora, a casa mia, sono capace di scrivervi coerentemente; laggiù, in un mondo dove contava solo il lavoro, ho lasciato trascorrere i giorni come in un incubo, comprando giornali su giornali, senza volermi convincere, nel vedere quelle foto che tutti abbiamo visto, nel leggere le stesse notizie e nell’entrare, ora dopo ora, nella più dure delle realtà da accettare.
E�?stato allora che mi è arrivato il tuo messaggio per telefono, Roberto, e mi sono dedicato a questo testo che avresti già dovuto ricevere e che ti invio nuovamente perché tu possa trovare il tempo di vederlo un’altra volta prima che venga stampato, poiché so quali sono i meccanismi del telex e quello che accade con le parole e con le frasi.
Voglio dirti questo: non sono capace di scrivere quando qualcosa mi ferisce tanto, non sono, non sarò mai lo scrittore professionale pronto a produrre quello che ci si aspetta da lui, quello che gli viene richiesto o quello che lui chiede disperatamente a se stesso. La verità è che la scrittura, oggi e di fronte a ciò, mi sembra la più banale delle arti, una specie di rifugio, quasi di dissimulazione, la sostituzione dell’insostituibile.
Il Che è morto e a me non resta altro che il silenzio, chissà fino a quando; se ti ho inviato questo testo è stato perché eri tu che me lo chiedevi, e perché so quanto amavi il Che e quello che lui significava per te. Qui a Parigi ho trovato un telegramma di Lisandro Otero che mi chiede centocinquanta parole per Cuba. Così, centocinquanta parole, come se uno potesse toglierle dal portafoglio come monete. Non credo di poterle scrivere, sono vuoto e arido, e cadrei nella retorica. E questo no, soprattutto questo. Lisandro perdonerà il mio silenzio, o lo prenderà male, non mi importa; in ogni caso tu sai quello che provo. Vedi, laggiù ad Algeri, circondato da imbecilli burocrati, in un ufficio dove si andava avanti sempre con la stessa routine, mi sono rinchiuso ,una e molte altre volte, nel bagno per piangere; si doveva stare in un bagno, capisci, per restare solo, per potersi sfogare senza violare le sacrosante regole del buon vivere di una organizzazione internazionale. Persino tutto quello che ti sto raccontando mi fa vergognare perché parlo di me stesso, l’eterna prima persona del singolare, e in cambio mi sento incapace di dire qualcosa di lui. Allora sto zitto.
Hai ricevuto, spero, il telegramma che ti ho inviato prima del tuo messaggio. Era il mio unico modo per abbracciare te ed Adelaida, e tutti gli amici della Casa. E questo è per te, l’unica cosa che sono stato capace di scrivere in queste prime ore, questo che è nato come un poema e che desidero che tu tenga e che conservi affinché ci faccia sentire più vicini.

Che
Io avevo un fratello

Non siamo mai vissuti vicini ma
Non ha importanza.

Io avevo un fratello
Che vagava per i monti
Mentre io dormivo.
Gli ho voluto bene a modo mio,
ho interpretato la sua voce
libera come l’acqua,
ho camminato volta volta
vicino la sua ombra.
Non ci siamo mai visti
Ma non aveva importanza,
mio fratello sveglio
mentre io dormivo,
mio fratello che mi indicava
nella notte
la sua stella eletta.

Ci riscriveremo. Un grande abbraccio ad Adelaida. Per sempre.

Julio

 

CHE:

CHE: FUGACITÀ DELLA SUA MORTE

Jorge Enrique Adoum


già trenta anni?
cioè abbiamo potuto continuare a restare per trent’anni in un mondo in cui lui non c’era?
cioè c’�?una generazione che ha potuto nascere crescere e procreare in un mondo in cui  da trent’anni lui manca?
come concepire il mondo per trent’anni senza lui?
l’america senza lui?

(se addirittura dicevamo agli europei che doveva essere triste non essere latinoamericani
perché lui era il primo esemplare di quell’uomo futuro che l’america avrebbe partorito un giorno
egli fu quell’essere di carne che era già nella leggenda o al contrario quell’eroe da epopea con il quale fino a poco fa
prendevamo un caffè
egli fece sentire nobile la nostra america sentirsi degna quando a cuba era più america che mai
e andavamo lì orgogliosi di essere nati nel suo stesso continente nella sua stessa epoca
e dell’ammirazione e dell’affetto dell’umanità quando si parlava di una qualsiasi delle sue imprese o delle sue difficili virtù avevamo in un certo modo la pretesa che ce ne spettasse una parte�?
cioè stiamo noi senza il che dopo aver lasciato il che senza noi
(si stava pericolosamente convertendo in una scusa
egli faceva per noi quello che noi dovevamo fare
egli faceva quello che noi sapevamo di dover fare ma non facevamo
quello che avremmo voluto fare ma non facemmo
quello che inevitabilmente dobbiamo fare ma non facciamo
ed eravamo soddisfatti lui lo faceva bene tutto faceva bene
e lo lasciammo solo comandante senza esercito
noi l’esercito stavamo applaudendo da lontano il suo modo di essere uomo
ammirando la sua rettitudine commovendoci per la sua integrità di uomo�?
forse credendolo così grande credemmo che non fosse necessaria la nostra piccolezza ai suoi ordini
e perché lo credevamo invulnerabile non facemmo nulla perché quegli indios impenetrabili
trovassero una fessura nella pietra dell’anima attraverso la quale potesse penetrare una volta per tutte il futuro a
rischiarare le cose delle            loro tenebre
nulla facemmo mai affinché quella india con una figlia malata sapesse chi la stava assassinando da tanto tempo e
chi ci stava salvando
lei prese i cinquanta pesos che le diede il che e qualcuno lo denunciò
e noi lo tradimmo perché non eravamo con lui davanti a lui vicino a lui dietro di lui
quando lo accerchiarono i militari e i lupi (lupi e lupi)

ora è difficile credere che lui sia potuto morire un giorno
ma fu ancora più difficile trent’anni fa perché il mondo non poteva immaginare che la misera morte degli uomini
potesse toccarlo
perché la morte è così poca cosa e un tenente prado è poca cosa e un generale ovando è ben poca cosa
(e noi ci aggrappavamo alle menzogne della stupidità armata alle          contraddizioni dell’infamia cercando di trovare in
esse il segnale che era vivo
diventando d’un tratto esperti di logica come se i gorilla avessero la nostra logica
esperti di trucchi fotografici analizzando la sua barba temendo che fosse lui ma parlando del cristo del mantegna e
di sculture del barocco�?
quando fidel disse che era morto
abbassammo la testa e raccogliemmo il mucchietto di ricordi come facciamo ogni volta che qualcuno muore come
per ricomporlo
perché ce lo restituissero completo
senza buchi i suoi polmoni e il suo ventre
integre le ossa che dissero di aver spezzato per metterlo in un barile
intatta la sua pelle che dissero di aver bruciato affinché la sua tomba non diventasse luogo  di pellegrinaggio
però cazzo dissi
se non c’�?un solo cespuglio in america dove non lo abbiano ammazzato
non c’�?un solo luogo che non sia la sua tomba di combattente e martire
e ci sentimmo miserabili un po�?in colpa per la sua solitudine
ma ancora inorgogliendoci per quello schiaffo finale che in nome di noi tutti diede a tutti i colonnelli sulla faccia di
selniche
e riempendoci di odio più di quanto un essere umano possa sopportare
contro quel barrientos ibrido di gorilla e di G.I. che si fregava le mani e contro la nostra stessa cosa? Codardia
dogma comodità mutilazione?
e allora solo allora desiderammo essere stati a valle grande
essere morti accanto a lui
meglio al posto di lui�?/STRONG>

qualcuno disse quel giorno che il gran barbudo dell’isola del caribe era rimasto solo
no cazzo dissi
lui è lì con dieci milioni di compagni che lo amano e i rivoluzionari del mondo che lo ammirano
quelli che sono rimasti soli e senza scuse siamo noi
quelli che sempre sono stati soli perché abbiamo voluto stare soli         viziosamente soli
occupati della nostra domesticità blablablaterando della rivoluzione prima di andarcene a bere o a dormire
e quegli altri che ormai neppure parlano di rivoluzione
e non si trattò più di essere morti al suo posto ma di unire le nostre solitudini e le nostre piccolezze per
rimpiazzarlo fra tutti
né di essere stati al suo posto ma di andare al suo posto
noi almeno quelli che non si erano imputriditi�?BR>e molto tempo dopo persino nei villaggi più remoti di asia e di africa abbiamo visto contadini discutere i loro problemi agrari intorno    a un tavolo sulla terra sotto la bandiera del loro paese e uno stendardo con l’immagine
dell’uomo dalla stella sulla fronte
e sui muri delle nostre città dipinta l’immagine ripetuta dell’uomo  dalla stella sulla fronte
e le adolescenti che non lo hanno conosciuto portare nel petto sui seni
            l’immagine dell’uomo dalla stella sulla fronte�?/STRONG>

repentina arrivò la carognata della storia
attoniti entrammo in una specie di vacanza ideologica quando all’improvviso nessuno seppe nulla né credette più in
nulla
e invece di maledirci e di odiarci come se piangessimo per la nostra impotenza
ho cominciato a chiedere che era stato in che ansa delle viscere dell’america
avevamo perso l’uomo nuovo che aspettavamo e per il cui avvento alcuni avevano dato la vita
che ne era stato da quando lo abbandonammo con la sua guerriglia fantasma nella selva
che ne era stato quando il neoliberismo diventò “l’unica forma universale di governo�?con la discola eccezione di
cuba
quando perché lo avevano ucciso credettero che fosse morto e annunciarono “la fine della storia�?BR>come se ormai tutti pensassimo allo stesso modo con la indocile eccezione del chiapas e di cuba

ma io so sappiamo che la storia non può finire prima che ritorni l’uomo nuovo che lui annunciò portandolo con sé
come la più bella utopia dell’america
e per questo lo aspetto per poter continuare ad essere vivo
e poter continuare ad aspettare quello che verrà

e allora che? hasta la victoria siempre?

 

 Jorge Enrique Adoum

 

che

Che Guevara, una vita spericolata

Studente e viaggiatore
Ernesto Guevara nasce il 14 giugno 1928 a Rosario, in Argentina, in una famiglia aristocratica di orientamento progressista. Appassionato fin da piccolo di di scacchi, poesia, sport e fotografia, a 20 anni si iscrive a medicina a Buenos Aires. Nel 1951 insieme a un amico compie il viaggio attraverso il Sud America che racconterà nei «Diari della motocicletta».
Rivoluzionario e ministro
Guevara all'Avana, ministro dell'Industria nella Cuba socialista, all'inizio degli anni '60. Nel 1955 il «Che» si unisce a Fidel Castro, e l'anno dopo cominicia la guerriglia sbarcando sull'isola, e guadagnandosi il rango di «comandante». E' tra i protagonisti della rivoluzione cubana diventa il numero due del regime accanto a Fidel.

Guerrigliero e prigioniero
Guerrigliero e prigioniero Che Guevara sparisce da Cuba nel 1965, dopo una crisi con Fidel. Sempre più radicale, decide di esportare la rivoluzione, prima in Congo e poi in Bolivia. Dopo qualche mese di guerriglia in Bolivia viene catturato e giustiziato il 9 ottobre 1967, nella scuola del villaggio di La Higuera. 30 anni dopo il suo corpo venne ritrovato e sepolto a Cuba.

 



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From: LucaSent: 1/11/2008 12:35 AM

Le ossa del Che

Le ossa del Che da Santa Cruz a l'Avana

Nel 1997 i resti del cadavere di Guevara furono esumati vicino alla pista di volo a Vallegrande e riportati a Cuba.
Nella foto gli antropologi cubani Hector Soto, Roberto Rodriguez e l'argentina Patricia Bernardi, scavano in un fossa dove si troverebbe anche il corpo del Che.

Le mani dell'antropologa argentina Patrizia Bernardi mostra il teschio dello scheletro n.2 che sin da subito viene attribuito al "Che".

Esattamente una settimana dopo l'esumazione, il team scientifico cubano ha ufficialmente confermato che l'identità dello scheletro n. 2 appartiene al Che.

Il 14 luglio 1997, i resti del Che Guevara vengono portati nella capitale cubana.
Nella foto, due soldati cubani marciano imperiosi all'interno del palazzo del ministero della difesa cubano a l'Avana con una cassa contenente i resti del Che.

Soldati cubani trasportano la piccola bara contenente i resti del Che durante le celebrazioni funebri prima che venga trasportato a Santa Clara, una città a 300 km a est della capitale Cubana (Il Che e le sue truppe liberarono Santa Clara nel dicembre del 1958 dalle forze di Fulgencio Batista (per questo è considerata la sua città adottiva).

Gli onori militari per l'arrivo del Che a Santa Clara.

La piccola bara del "Che" è tumulata in un mausoleo a Santa Clara. Il monumento è corredato da una grande statua con la scritta "Hasta la victoria siempre" e da una lapide recante la parte iniziale del testo del famoso ordine di servizio firmato da Fidel Castro il 21 agosto 1958, con cui venivano comunicate le istruzioni operative per la colonna numero 8, comandata da Guevara: "Se asigna al comandante Ernesto Guevara la misión de conducir desde la Sierra Maestra hasta la provincias de Las Villas una Columna rebelde y operar en dicho teritorio de acuerdo con el plan estratégico del Ejército rebelde".

 

che


 

che

«Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni circostanza, ma mai in ogni circostanza e in ogni epoca si potrà avere la libertà senza la lotta!»

Ernesto Che Guevara


 

 

Ernesto Che Guevara

Vecchia Maria

Ernesto Che Guevara





Vecchia Maria, stai per morire,
voglio dirti qualcosa di serio:
La tua vita è stata un rosario completo di agonie,
non hai avuto amore d'uomo, salute e denaro,
soltanto la fame da dividere coi tuoi;
voglio parlare della tua speranza,
delle tre diverse speranze
costruite da tua figlia senza sapere come.
Prendi questa mano di uomo che sembra di bambino
tra le tue, levigate dal sapone giallo.
Strofina i tuoi calli duri e le pure nocche
contro la morbida vergogna delle mie mani di medico.
Ascolta, nonna proletaria:
credi nell'uomo che sta per arrivare,
credi nel futuro che non vedrai.
Non pregare il dio inclemente
che per tutta una vita ha deluso la tua speranza.
E non chiedere clemenza alla morte
per veder crescere le tue grigie carezze;
i cieli sono sordi e sei dominata dal buio,
su tutto avrai una rossa vendetta,
lo giuro sull'esatta dimensione dei miei ideali
tutti i tuoi nipoti vivranno l'aurora,
muori in pace, vecchia combattente.
Stai per morire, vecchia Maria;
trenta progetti di sudario
ti diranno addio con lo sguardo
il giorno che te ne andrai.
Stai per morire, vecchia Maria,
rimarranno mute le pareti della sala
quando la morte si unirà all'asma
e consumerà il suo amore nella tua gola.
Queste tre carezze fuse nel bronzo
(l'unica luce che rischiara la tua notte)
questi tre nipoti vestiti di fame,
sogneranno le nocche delle tue vecchie dita
in cui sempre trovavano un sorriso.
Questo sarà tutto, vecchia Maria.
La tua vita è stata un rosario di magre agonie,
non hai avuto amore d'uomo, salute, allegria,
soltanto la fame da dividere coi tuoi.
E' stata triste la tua vita, vecchia Maria.
Quando l'annuncio dell'eterno riposo
velerà di dolore le tue pupille,
quando le tue mani di sguattera perpetua
riceveranno l'ultima, ingenua carezza,
penserai a loro... e piangerai,
povera vecchia Maria.
No, non lo fare!
Non pregare il dio indolente che per tutta una vita
ha deluso la tua speranza
e non domandare clemenza alla morte,
la tua vita ha portato l'orribile vestito della fame
e ora, vestita di asma, volge alla fine.
Ma voglio annunciarti,
con la voce bassa e virile delle speranze,
la più rossa e virile delle vendette,
voglio giurarlo sull'esatta
dimensione dei miei ideali.
Prendi questa mano di uomo che sembra di bambino
tra le tue, levigate dal sapone giallo,
strofina i tuoi calli duri e le nocche pure
contro la morbida vergogna delle mie mani di medico.
Riposa in pace, vecchia Maria,
riposa in pace, vecchia combattente,
i tuoi nipoti vivranno nell'aurora,
LO GIURO

 Ernesto Che Guevara

Poesia dedicata da Ernesto Guevara de la Serna a una vecchia messicana incontrata nell'Ospedale Generale di Città del Messico nel dicembre 1954

 

 

diario

 
I DIARI DELLA MOTOCICLETTA
di Walter Salles

Il quinto lungometraggio del brasiliano Walter Salles (Rio de Janeiro, 1956), chi si è fatto conoscere con Central do Brasil (1998), si basa sui diari che Ernesto Guevara (nato a Rosario, in Argentina, nel 1928) scrisse durante un faticoso viaggio, durato sette mesi, lungo il Sudamerica. I diari della motocicletta (2004) è la storia del "Che" quando non era ancora il mitico comandante "Che", ovvero l'eroe sempiterno. Quando il giovane Guevara era soltanto uno studente di 23 anni, bello e scanzonato, che stava terminando gli studi medici. A dargli il volto in questo film è il bravo attore messicano Gael García Bernal.

Nel 1952, convinto dal suo amico biochimico Alberto Granado (all'epoca ventinovenne, attualmente vive a Cuba), Ernesto parte con Alberto per un viaggio con una moto sgangherata (una Norton, chiamata "la poderosa", che darà ai due amici non pochi problemi) che li porterà da Buenos Aires a Caracas. Un viaggio soprattutto in moto, ma anche a piedi, in autostop, o con mezzi di fortuna.
Questa esperienza di vita in terre lontane e sconosciute farà di Guevara, già animato da profonde passioni etiche (non ancora politiche), un uomo diverso: una persona preoccupata per la realtà dall'America Latina, una persona che prova a capire e ad aiutare chi gli sta accanto e ad amare orgogliosamente quel suo "popolo meticcio" rassegnato alla miseria.

I paesaggi della Sudamerica, con la loro bellezza e povertà, sono le pietre miliari di questo film. I due protagonisti partono da una città, Buenos Aires, che in quel momento sta vivendo un periodo di ricchezza economica, e subito dopo iniziano a scoprire una realtà diversa: fatta di stenti, povertà, diffidenza, duro lavoro, malattia, fame.
Miramar e la Patagonia nell'Argentina, il Cile, il Perù e il Venezuela saranno le tappe di questi due amanti dell'avventura e della verità, due antropologi del comportamento umano. Anche se lontano dai loro cari, iniziano a farsi delle "piccole famiglie" nelle comunità più bisognose, basate sull'amicizia e la solidarietà. Ma forse la fermata più interessante del viaggio è quando raggiungono "l'isola" dei lebbrosi: nei malati scoprono la voglia di vivere, di giocare, di scherzare, forse proprio grazie all'imprevista visita dei due giovani e simpatici "medici": Ernesto e Alberto si guadagnano la loro amicizia non usando i guanti protettivi visitandoli, scherzando o giocando a calcio con loro, dimostrando un serio e partecipe impegno di ricercatori sul campo.

Certo, non tutto fila liscio durante il viaggio. Per esempio una volta i due si vedono costretti a fuggire durante una festa popolare, mal capiti dagli abitanti del luogo. Si incontrano con una coppia alla ricerca d'un lavoro in mezzo al nulla, e il Che, commosso, gli regalerà tutti i soldi che ha in tasca e che aveva appena ricevuto della fidanzata (e che Alberto gli aveva chiesto insistentemente), indispensabili per proseguire nella loro impresa di conoscenza.
I due giovani patiscono la fame, il freddo, e l'asma quasi ammazza il Che. Però il messaggio che trasmettono è quello dell'esperienza diretta di vita, la necessità di confrontarsi quotidianamente con gli altri, di chiedersi se quello che ciascuno di noi fa della propria esistenza sia davvero la cosa giusta.

Staccarsi dalla normalità quotidiana, conoscere "altre terre", le necessità e le paure di altri uomini ci fa capire meglio anche noi stessi, espande la nostra mente, la nostra coscienza e infonde nuovi valori. Certo non sempre è così, o non per tutti, dipende dallo "spirito" del viaggio e dalla propria sensibilità. Ma così fu per il Che e per Alberto, due grandi personaggi che con questa avventura scoprirono una realtà sconvolgente e questo sconvolse le proprie scelte di vita: capirono le cose per cui, per loro, occorreva lottare. Non una lotta armata, ma qualcosa di più efficace e forte: la lotta di chi dimostra con i fatti, giorno dopo giorno e mettendo a repentaglio la propria vita aiutando chi ne ha bisogno con passione e senza interessi personali, che il mondo può cambiare davvero. E in meglio.


 

che

Il Diario del “Che�?in Bolivia

Non è facile parlare di un mito. Specie se con questo ci sei nato e cresciuto sin da ragazzo, ammirandone ideali e passione. Non è facile, soprattutto se la “leggenda�?è realmente vissuta e si chiama Ernesto Che Guevara. Lo si potrebbe fare, una volta tanto, partendo dall’ultimo capitolo della sua vita.

7 Novembre 1966
“Oggi comincia una nuova fase. Siamo arrivati alla tenuta di notte. Il viaggio è stato abbastanza buono. Dopo essere entrati, convenientemente travestiti, da Cochabamba, Pachugo ed io abbiamo preso i contatti e viaggiato per due giorni in jeep, con due macchine.�?/EM>

Così inizia “Il diario in Bolivia�?di Ernesto Che Guevara (Feltrinelli, 1968). Uno di quei testi che se non fossero tristemente la cronaca di avvenimenti realmente accaduti, sarebbe certamente un meraviglioso romanzo d’avventura.
Siamo nel 1966 ed Ernesto Guevara, a 38 anni, lascia Cuba e parte per quello che già all’epoca era uno dei paesi più poveri di tutto il Sudamerica. Parte, in completo anonimato, travestito ed irriconoscibile, con una nuova identità (passaporto uruguaiano). Se ne va con un pugno di amici fraterni, per una nuova azione di guerriglia, con lo scopo di sollevare una rivolta popolare contro la dittatura di Barrientos, sperando sia l’origine di un fuoco rivoluzionario che possa poi espandersi come un incendio per il resto dell’America latina.
Ernesto Guevara lascia Cuba, quell’isola caraibica di cui ora è cittadino e membro del governo, che ha contribuito a liberare dalla dittatura di Fulgencio Batista, con la rivoluzione del 1957 capeggiata da Fidel Castro e che lo ha reso oramai famoso in tutto il mondo e di cui è diventato il più importante messaggero mediatico e culturale.
Come suo costume ed indole, il Che è un uomo inquieto e non riesce a vivere una vita tranquilla e ordinaria. Lascerà per quella sua ultima iniziativa, comodità e un posto di prestigio, per mettersi di nuovo in gioco, spinto dal suo senso di avventura e dalla sua forte motivazione ideologica di “socialista rivoluzionario�? Perché è un uomo che non accetta lo status quo e non ama aspettare i tempi della politica.

La lettura di quel suo ultimo “diario�?ci porta attraverso estenuanti camminate e rifugi di fortuna, in mezzo a combattimenti, imboscate e fughe interminabili per la selva boliviana, in un paese che neanche il Che conosce. Un diario che ci farà scoprire un Guevara che lotta con incedibile forza di volontà, non solo contro il suo “nemico�? ma anche contro se stesso, con i suoi pensieri e le sue malattie, come l’asma che lo tormenterà sino alla fine dei suoi giorni, denotando una forza di volontà ed una coerenza impressionanti. Partito per la Bolivia cercando di esportare la rivoluzione cubana e unire un continente, vi troverà invece la tomba, tra “campesinos�?/EM> impreparati al suo richiamo, lotte interne di partito e un paese geograficamente impossibile da dominare.
A quarant�?anni di distanza da quelle vicende, la rilettura del Diario, ci riporta indietro in un tempo che sembra lontanissimo. Il tempo della guerra fredda , dove l’utopia romantica di un rivoluzionario naufraga di fronte la real politik di due blocchi che si contendono il potere. Equidistante da Stati Uniti e Unione Sovietica, Guevara cerca una terza via che a quel tempo non esiste ed è assolutamente precoce. Chi ci provò in Sudamerica, solo pochi anni più tardi, come Salvador Allende, con la sua “via (democratica) cilena al socialismo�? venne poi barbaramente ucciso.

Certo non è facile parlare del Che oggi. Non è facile farlo senza retorica. E�?passato molto tempo da allora e il sentimento potrebbe far facile presa su foto sbiadite e vecchie canzoni rivoluzionarie che inneggiano ad uomo che ha dato la vita per ideali di giustizia e uguaglianza. Non è facile parlare del Che oggi. Soprattutto quest’anno, dove come ogni decennale dalla sua morte, è difficile sfuggire ad operazioni di semplice marketing (poster, libri, cartoline, magliette, giti turistici, ecc�? e ricostruzioni storiche che sanno più di un percorso di beatificazione che una vera e propria analisi sull’uomo e su ciò che ha significato per un’intera generazione degli anni sessanta e settanta.
Non so cosa pensino i ragazzi quando sventolano le bandiere o portano indosso le magliette con quella foto di Guevara che Alberto Korda scattò nel 1960.
Tra le tante anime del Che, seppur intrinsecamente legate tra loro, chissà se pensano di più a quella dell’ideologo o a quella del guerrigliero eroico. Per dirla in modo banale, preferiscono il Che dell�?“hombre nuevo�?/EM> o quello di “o vita o muerte�?/EM>?
O forse non sanno neanche chi sia stato veramente e lo “vestono�?semplicemente come simbolo oramai acquisito di ribellione e libertà, magari con la stessa disinvoltura con cui portano indosso anche magliette con l’effige della Coca-Cola.

Non è facile parlare del Che oggi. Ma è anche un modo per riflettere su come a quarant’anni di distanza dalla sua scomparsa, siamo ancora ben lontani da quella splendida utopia “guevariana dell’uomo nuovo�? Ma non c’�?da stupirsi. Gli interessi economici e l’egoismo sono sempre lì a dettare legge.
In molte zone del mondo, la forchetta tra Nord e Sud si è allargata pericolosamente, e sorgono nuove schiavitù e nuove povertà. Un mondo che avrebbe bisogno di pace, è ancora teatro di guerre e guerriglie, terrore e terrorismo. Sarebbe bello che proprio in nome del guerrigliero più famoso del XX secolo, si ricercasse un nuovo modo di appianare i conflitti. Utilizzando la ragione invece delle armi e seminando parole al posto delle mine.

“La liberazione dell’uomo non significa solo realizzare la giustizia sociale, non significa solo sconfiggere l’ignoranza, non significa solo sopprimere la disoccupazione�?Questo è solo un aspetto della liberazione dell’uomo, ma fino a che non sarà sconfitto l’egoismo, non avremo ancora compiuto la liberazione dell’uomo; e fino a che non avremo compiuto la liberazione dell’uomo, non avremo realizzato i nostri sogni rivoluzionari�?Contemporaneamente alla base materiale bisogna fare l’uomo nuovo…�?Ernesto Che Guevara

******************************************
Tra la miriade di libri di e sul Che, questi i miei preferiti che consiglio:

Paco Ignacio Taibo II, “Senza perdere la tenerezza�?(Il Saggiatore)
Roberto Massari �?Che Guevara: pensiero e politica dell’utopia�?( Erre Emme)
Roberto Massari, Martinez F. “Guevara para hoy�?( Erre Emme)
Ernesto Che Guevara, “Scritti scelti�?( Erre Emme)
Ernesto Che Guevara Diario in Bolivia (Feltrinelli)
Ernesto Che Guevara Latinoamericana. Un diario per un viaggio in motocicletta (Feltrinelli)
Ernesto Che Guevara America Latina. Il risveglio di un continente (Feltrinelli)
Meri Lao , “Al Che, poesie e canzoni dal mondo�?( Erre Emme)

da paolo mattana

Che

E QUI


Ernesto Che Guevara

"Sono meticcio", grida un pittore dalla tavolozza infuocata,
"sono meticcio", mi gridano gli animali perseguitati,
"sono meticcio", esclamano i poeti pellegrini,
"sono meticcio", riassume l'uomo che mi incontra
nel quotidiano dolore di ogni angolo,
e persino l'enigma di pietra della razza morta
accarezzando una vergine di legno dorato:
"È meticcio questo grottesco figlio delle mie viscere".

Io pure sono meticcio per un altro aspetto:
nella lotta in cui si uniscono e si respingono
le due forze che agitano il mio intelletto,
le forze che mi chiamano sentendo delle mie viscere
lo strano sapore di frutto racchiuso
prima di raggiungere la sua maturità dell'albero.

Mi giro al limite dell'America ispana
ad assaporare un passato che ingloba il continente.
Il ricordo scivola con dolcezza indelebile,
come un lontano suono di campana.

 

 


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 Message 3 of 4 in Discussion 
From: LucaSent: 1/11/2008 12:39 AM

Che il canto general

COMMENTO AL CANTO GENERALE, DI PABLO NERUDA language=JavaScript type=text/javascript> </SCRIPT>

 

Ernesto Che Guevara

Quando il tempo avrà un po�?sfumato gli andamenti politici e contemporaneamente �?ineluttabilmente �?avrà assegnato al popolo la sua definitiva vittoria, questo libro di Neruda si porrà come il più vasto poema sinfonico d’America.
E�?poesia che rappresenta una pietra miliare e forse una vetta. In essa tutto, persino i pochi (e inferiori) versi personali del finale, traspirano grandezza. Il poeta cristallizza quel mezzo giro di volta che dette quando abbandonò il dialogo con se stesso e discese (o salì) a dialogare con noi, semplici mortali, che facciamo parte del popolo.
E�?un canto generale d’America che ripercorre tutto ciò che è nostro, dai giganti geografici fino alle povere bestioline del signor monopolio.
Il primo capitolo s’intitola La lampada della terra e fra l’altro vi risuona il suo saluto al gigantesco Rio delle Amazzoni:

Rio delle Amazzoni,
capitale delle sillabe dell’acqua,
padre patriarca,�?/EM>

All’esatta coloritura unisce la giusta metafora, pone l’ambiente, mostra il suo impatto con esso, canta non come un fine dicitore, ma come uomo. E infatti il primo capitolo della sua descrizione che potremmo chiamare “precolombiana�?si chiude con “Gli uomini�? i nostri avi remoti:

Come la coppa d’argilla era
la razza minerale, l’uomo
fatto di pietre e d’atmosfera,
lindo come le brocche, sonoro.

Poi il poeta trova la sintesi di quello che era la nostra America, il suo più grande simbolo e canta allora le “Alture di Machu-Picchu�? Il fatto è che Machu-Picchu è l’opera d’ingegneria aborigena che arriva più a noi; per la sua elegante semplicità, per la sua grigia tristezza, per il meraviglioso panorama circostante, per l’Urubamba che ulula in basso. La sintesi di Machu-Picchu è data da tre versi che sono tre definizioni di una categoria quasi goethiana:

Madre di pietra, spuma dei condor.
Alta scogliera dell’aurora umana.
Pala perduta nella prima rena.

Ma non si limita a definirla e storicizzarla, e in uno slancio di follia poetica vuota tutto il suo sacco di metafore abbaglianti e talora ermetiche sulla città simbolo, invocandone poi l’aiuto:

Datemi il silenzio, l’acqua, la speranza.
Datemi la lotta, il ferro, i vulcani.

Che cosa è successo? Tutti conoscono la sequenza della storia: all’orizzonte comparvero “I conquistatori�?

I macellai devastarono le isole.
Guanahaní fu la prima
In questa storia di martirii.

E così scorrono Cortés, Alvarado, Balboa, Ximénez de Quesada, Pizarro, Valdivia. Tutti sono squartati senza pietà dal suo canto detonante come una revolverata. L’unico per cui abbia parole affettuose è Ercilla, il cantore delle gesta araucane:

Uomo, Ercilla sonoro, sento il polso dell’acqua
del tuo primo risveglio, frenesia d’uccelli
e stormire di fronde.
Lascia, lascia la tua orma
d’aquila bionda, spacca
la guancia contro il mais selvaggio,
tutto sarà nella terra divorato.

Tuttavia la conquista continuerà e darà del suo all’America, e pertanto dice Neruda, “Nonostante l’ira�?

Ma attraverso fuoco e ferratura
come da una sorgente illuminata
dal sangue oscuro,
con il metallo fuso nel tormento
si riversò una luce sulla terra:
numero, nome, linea e struttura.
�?
Così, al sanguinario
Titano di pietra,
falcone inferocito,
non venne solo sangue bensì grano.

La luce venne malgrado i pugnali.

Ma la notte della Spagna finisce e la notte del monopolio è minacciata. Tutti i grandi d’America hanno il loro posto nel canto, dagli antichi libertadores fino ai nuovi, i Preti, quelli che combattono con il popolo gomito a gomito.
Ora la detonazione svanisce e un gran canto di gioia e di speranza irrora il lettore. Ma risuonano particolarmente le gesta della sua terra. Lautaro e i suoi guerrieri e Caupolicán l’ostinato.
�?Lautaro contro il centauro (1554)�?dà l’idea del certame.

La fatica e la morte conducevano
la truppa di Valdivia tra le fronde.

Avanzavan le lance di Lautaro.
Tra morti e foglie andava
Come in un tunnel Pedro de Valdivia.

Fra le tenebre arrivava Lautaro.
Pensò all’Extremadura petrosa,
al dorato olio, alla cucina,
al gelsomino lasciato oltremare.

Conobbe l’ululato di Lautaro.

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Vide venire la luce, l’aurora,
forse la vita, il mare.

Era  lautaro

Non poteva mancare nel suo canto la riunione misteriosa di Guayaquil e fra le righe dell’incontro politico palpita lo spirito dei grandi generali.
Ma non fu tutto fortuna eroica e limpida dei libertadores, si ebbero anche tradimenti, carnefici, carcerieri, assassini. “La rena tradita�?si apre con “I carnefici�?

Sauria, squamosa America avvinghiata
allo sviluppo vegetale, all’albero
radicato nel fango:
hai allattato figli terribili
con velenoso latte di serpente,
torride culle covarono e coprirono con fango giallastro
una progenie incrudelita.
Il gatto e la scorpiona fornicarono
nella patria selvatica.

E compaiono sfilando i Rosas, i Francias, i Garcìa Morenos, e via dicendo, e non solo nomi, istituzioni, caste, gruppi. Ai suoi colleghi, “I poeti celesti�? chiede:

Che avete fatto voi gidisti,
intellettualisti, rilkisti,
misterizzanti, falsi stregoni
esistenziali, papaveri
surrealisti accesi
su una tomba, europeizzati
cadaveri della moda,
pallidi lombrichi del cacio
capitalista�?/EM>

E, quando arriva alle compagnie nordamericane, la sua possente voce trasuda pietà per le vittime e schifo e odio per le piovre, per tutti quelli che fanno a pezzi e inghiottono la nostra America:

Quando la tromba suonò, tutto
fu pronto sulla terra
e Geova spartì il mondo
fra Coca-Cola Inc., Anaconda,
Ford Motors e altre entità:
la Compañía Frutera Inc.
si riservò il miglior succo,
la costa centrale della mia terra,
la dolce cintura d’America.

A González Videla, il presidente che lo manda in esilio, grida:

Triste clown, miserabile
mistura di scimmia e topo, la cui coda
pettinano a Wall Street con pomata d’oro.

Ma non tutto è morto e dalla speranza sgorga il suo grido:

America, non invoco il tuo nome invano.

Quindi si concentra sulla sua patria, con il “Canto generale del Cile�?dove, dopo averla descritta e cantata, lancia la sua “Ode d’inverno al fiume Mapocho�?

Oh, sì, neve imprecisa,
oh, sì, tremante in pieno fior di neve,
palpebra boreale, piccolo raggio gelido,
chi, chi ti chiamò verso la cinerea valle,
chi, chi ti trascinò dal picco dell’aquila
fin dove le tue acque pure toccano
i terribili stracci della mia patria?

E allora viene la terra, “La terra si chiama Juan�?e, fra il canto incerto cui ogni operaio si abbandona, si ode quello di Margarita Naranjo che strazia con la sua nuda emotività:

Sono morta. Sono di María Elena.

E poi si volge furioso contro i principali colpevoli, contro i monopoli e dedica a un soldato yankee la poesia “Si desti il taglialegna�?

Ad ovest del Colorado River
C’�?un luogo che amo.

E lo avverte:

Sarà implacabile il mondo per voi.
Non solo saranno le isole spopolate, ma anche l’aria
che già conosce le parole a lei care

...

E dal laboratorio coperto di rampicanti
uscirà anche l’atomo liberato
verso le vostre superbe città.

Gonzàlez Videla scatenò la persecuzione contro di lui e lo convertì ne “Il fuggiasco�? dove però il suo canto subisce una caduta come se l’improvvisazione avesse da questo momento la meglio perdendosi quindi l’altura della sua metafora e il delicato ritmo della sua idea. Segue quindi “I fiori di Punitaqui�?e poi saluta i suoi colleghi di lingua spagnola.
Nel “Corale di Capodanno per la mia patria nelle tenebre�?polemizza con il governo del Cile e dopo ricorda “Il grande Oceano�?con il suo Rapa Nui:

Tepido-Te-Henùa, ombelico del mar grande,
laboratorio del mare, spento diadema.

E il libro termina con il suo “Io sono�? dove fa il suo testamento dopo essersi riveduto e corretto:

Lascio ai sindacati
del rame, del carbone e del salnitro
la mia casa sul mare d’Isla Negra.
Voglio che lì riposino i vessati figli
della mia patria, saccheggiata da asce e traditori,
dissipata nel suo sacro sangue,
consumata in vulcanici brandelli.

...

Lascio i miei vecchi libri, raccolti negli angoli del mondo, venerati
nella loro tipografia maestosa,
ai nuovi poeti d’America,
a quanti un giorno
fileranno nel roco telaio interrotto
le significanze di domani.

E infine grida:

Termino qui.
Questa parola nascerà di nuovo,
chissà in un altro tempo senza pene,
senza le impure fibre che attaccarono
nere vegetazioni al canto mio,
e di nuovo su in alto starà ardendo
il mio cuore infuocato e stellato.
Così termina il libro, qui vi lascio
questo mio Canto Generale scritto
nella persecuzione cantando, sotto
le ali clandestine della patria.
Oggi, 5 febbraio di quest’anno
1949, in Cile, a “Godomar
de Chena�? alcuni mesi prima
dei miei quarantacinque anni d’età.

E con questo finale alla François Villon (1) si conclude il libro più alto dell’America poetica. L’epica del nostro tempo di toccare con le sue ali curiose tutto il bene e il male della grande patria.
Non vi è spazio che per la lotta; come in La araucana del suo geniale predecessore, tutto combattimento continuo e la sua carezza è la carezza goffa del soldato, ma non per questo meno amorosa e tuttavia carica di tutte le forze della terra

 

lettera

Quarta lettera

Fidel,

Mi ricordo in quest'ora di molte cose, di quando ti conobbi in casa di Maria Antonia, di quando mi proponesti di venire con te, di tutta la tensione dei preparativi.

Un giorno vennero a domandarci chi si sarebbe dovuto informare in caso di morte, e la possibilità reale del fatto ci colpì tutti. Più tardi sapemmo che era vero, che in una rivoluzione si trionfa o si muore (se è vera). Molti compagni rimasero lungo la strada che portava alla vittoria

Oggi tutto ha un tono meno drammatico, perché siamo più maturi ma il fatto si ripete. Sento di aver compiuto quella parte del mio dovere che mi legava alla Rivoluzione cubana nel suo territorio e mi congedo da te, dai compagni, dal tuo popolo che ormai e anche il mio.

Rinuncio formalmente ai miei incarichi nella Direzione del Partito, alla mia carica di Ministro, al mio grado di Comandante, alla mia condizione di cubano. Nulla di legale mi vincola a Cuba, soltanto legami di altro genere che non si possono rompere come i titoli.

Facendo un bilancio della mia vita passata, credo di aver lavorato con sufficiente onestà e dedizione a consolidare il trionto rivoluzionario. Il mio unico errore di qualche gravità è di non aver avuto maggiore fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente raipidità le tue qualita di capo e di Rivoluzionario. Ho vissuto magnifici giorni e ho provato, al tuo fianco, l'orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della Crisi dei Caraibi. Poche volte come in quei giorni uno statista brillò tanto alto, e così provo orgoglio anche per averti seguito senza esitazioni, per essermi identificato col tuo modo di pensare e di vedere e di valutare i pericoli e i principi.

Altre terre del mondo reclamano il contributo dei miei modesti sforzi. Io posso fare ciò che a te è negato dalla tua responsabilità alla testa di Cuba, ed è giunta l'ora di separarci.

Si sappia che lo faccio con un misto di allegria e di dolore: lascio, qui, la parte più pura delle mie speranze di costruttore e i più cari tra gli esseri a me cari... e lascio un popolo che mi adottò come un suo figlio; ciò lacera una parte del mio spirito. Sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro tra i doveri: lottare contro l'imperialismo ovunque esso sia: ciò riconforta e cura largamente qualunque strazio.

Ripeto una volta di più che sollevo Cuba da qualunque responsabilità, salvo da quella che emana dal suo esempio. Che se la mia ultima ora mi raggiungerà sotto altri cieli, il mio pensiero andrà a questo popolo e in particolare a te. Che ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e il tuo esempio e che farò in modo di essere fedele fin nelle conseguenze estreme dei miei atti. Che sono stato identificato sempre con la politica estera della nostra Rivoluzione, e che continuo a esserlo. Che, dovunque io starò, sentirò la responsabilità del fatto di essere un rivoluzionario cubano, e che come tale agirò. Che non lascio ai miei figli e a mia moglie nulla di materiale e che ciò non mi addolora: che così sia mi rallegra. Che non chiedo nulla per loro poiché lo Stato darà loro quel che basta per vivere ed educarsi.

Avrei molte cose da dirti, a te e al nostro popolo, ma sento che non sono necessarie: le parole che possono esprimere quello che io vorrei, e non vale la pena d'imbrattare carta.

Fino alla vittoria sempre! Patria o morte!

Ti abbraccia con grande fervore rivoluzionario,

Che

Terza lettera

Cari vecchi,

una volta ancora sento i miei talloni contro il costato di Ronzinante: mi rimetto in cammino col mio scudo al braccio.

Sono passati quasi dieci anni da quando vi scrissi un'altra lettera di commiato. A quanto ricordo, mi lamentavo di non essere un miglior soldato e un miglior medico; la seconda cosa ormai non mi interessa, come soldato non sono tanto male.

Nulla è cambiato essenzialmente, salvo il fatto che sono molto più cosciente, il mio marxismo si è radicato e depurato. Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi, e sono coerente con quello che credo. Molti mi diranno avventuriero, e lo sono; soltanto che lo sono di un tipo differente: di quelli che rischiano la pellaccia per dimostrare le loro verità.

Può darsi che questa sia l'ultima volta, la definiva. Non lo cerco, ma rientra nel calcolo logico delle probabilità. Se così fosse, eccovi un ultimo abbraccio.

Vi ho molto amati, ma non ho saputo esprimere il mio; sono nelle mie azioni estremamente drastico, e credo che avolte non abbiate capito. Non era facile capirmi, d'altra parte: credetemi almeno oggi.

Ora, una volontà che ho educato con amore d'artista, sosterrà due gambe molli e due polmoni stanchi. Riuscirò.

Ricordatevi, ogni tanto, di questo piccolo condottiero del secolo XX. un bacio a Celia, a Roberto, a Juan Martin e a Pototin, a Beatriz, a tutti. A voi un grande abbraccio di figliol prodigo e ostinato

Ernesto

 

Seconda lettera

Cari Hildita, Aleidita Camilo Celia e Ernesto,

se un giorno dovrete leggere questa lettera sarà perché io non sono tra voi.

Quasi non vi ricorderete di me e i più piccolini non ricorderanno nulla.

Vostro padre è stato uno di quegli uomini che agiscono come pensano e, di sicuro, è stato coerente con le sue convinzioni. Crescete come buoni rivoluzionari. Studiate molto per poter dominare la tecnica che permette di dominare la natura. Ricordatevi che l'importante è la rivoluzione e che ognuno di noi, solo, non vale nulla.

Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. E' la qualità più bella di un rivoluzionario. Addio, figlioli, spero di vedervi ancora. Un bacione e un grande abbraccio da

Papà

 

Prima lettera

Cara Hildita.

ti scrivo oggi ma la lettera ti giungerà molto dopo la tua festa; ma voglio che tu sappia che mi ricordo di te e spero che tu stia passando un compleanno molto felice. Ormai sei quasi una donna e non ti si può scrivere come a una bambina, raccontando stupidaggini e piccole bugie.

Devi sapere che sono lontano e starò molto tempo distante da te, facendo ciò che posso per lottare contro i nostri nemici. Non che sia granchè, ma é sempre qualcosa e credo che potrai essere sempre orgogliosa di tuo padre come io lo sono di te.

Ma ricordati che occorreranno ancora molti anni di lotta e che anche se sei una donna, dovrai anche tu fare la tua parte. Nel frattempo devi prepararti, essere molto rivoluzionaria, il che alla tua età significa imparare molto, quanto più è possibile ed essere sempre pronta ad appoggiare le cause giuste. Poi, obbedisci alla mamma e non credere di poter far tutto prima del tempo. Verrà anche per te il giorno.

Devi lottare per essere fra le migliori a scuola. Migliore in tutti i sensi e sai quello che intendo dire: nello studio e nell'attitudine rivoluzionaria, cioè devi avere buona condotta, serietà, attaccamento alla Rivoluzione cameratismo, ecc.

Io non ero così quando avevo la tua età, ma vivevo in una società diversa in cui l'uomo era nemico dell'uomo. Oggi tu hai il privilegio di vivere in un'altra epoca e devi esserne fiera.

Non ti dimenticare di dare un'occhiata a casa per vigilare sugli altri bambini ed esortarli a studiare e a comportarsi bene, specie Aleidita che ti ascolta molto come sorella maggiore.

Bene, cara, e ancora, passa un felice compleanno. Abbraccia la mamma e Gina, abbiti un grande e fortissimo abbraccio che deve valere per tutto il tempo che non ci vedremo.

Papà


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 Message 4 of 4 in Discussion 
From: LucaSent: 1/11/2008 12:40 AM

frasi

 

Frasi celebri

Ecco alcune frasi tratte da discorsi pronunciati dal "Che", che danno un senso della sua poesia:

"La durezza di questi tempi non ci deve far perdere la tenerezza dei nostri cuori..."

"Sinceramente non so bene da che parte della Spagna provenga la mia famiglia. Non credo che siamo parenti molto stretti, ma se lei è in grado di fremere d'indignazione ogni volta che si commette un'ingiustizia nel mondo, siamo compagni, che è la cosa più importante" (da una lettera in risposta ad una ammiratrice)

"La preistoria non è finita. La storia sta per cominciare."

"Ogni goccia di sangue versata in un territorio sotto la cui bandiera non si è nati, è un'esperienza che chi sopravvive raccoglie per applicarla poi alla lotta di liberazione del suo paese di origine. E ogni popolo che si libera è una fase vinta nella battaglia per la liberazione della propria gente."

"Siate sempre capaci di sentire nel profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo. E' la qualità più bella di un rivoluzionario."

e per chiudere una dedica al "Che" del poeta cubano Miguel Barnet:

"Che" tu sai tutto questo
gli anfratti della Sierra,
l'asma sull'erba fredda,
la tribuna,
le onde della sera,
conosci le frutta
e la coppia di buoi.
Non che voglio darti
penna per pistola,
ma il poeta sei tu.


biografia

Ernesto "Che" Guevara

Nasce a Rosario in Argentina nel 1928, da una famiglia borghese progressista. A soli quattordici anni vede sua madre torturata in una prigione di Peron.

Dopo essersi laureato in medicina, va in Guatemala per combattere in difesa del regime democratico del presidente Arbenz.

Nel 1956, in Messico, incontra Fidel e Raul Castro. Con loro sbarca a Cuba, dandosi alla macchia. Dopo tre anni di guerriglia, "Che" e Fidel Castro entrano all'Avana spodestando il dittatore Fulgencio Batista.

Dopo la rivoluzione, diventa direttore della Banca Nazionale cubana e Ministro dell'Industria, dando vita ad una rapida industrializzazione dell'isola. Questa sua opera incontra alcuni insuccessi e gli attira diverse critiche, ma dopo una battuta d'arresto, sarà ripresa con unanime consenso.

Nel 1964 va a Pechino, Hanoi e in Africa. Nel 1965 scompare, divenendo una specie di "primula rossa" della Rivoluzione: la sua presenza viene segnalata in vari paesi dell'America Latina e poi, sempre con maggior insistenza, in Bolivia.

Sulla sua testa viene messa una taglia di 50.000 pesos. Nell'Ottobre del 1967, il "Che", che porta il nome di battaglia di Ramon, viene ferito in un'imboscata. Arrestato dai soldati boliviani viene ucciso nel villaggio di Higueras.

Il mito della sua invulnerabilità spinge molti a ritenere che la notizia della sua morte non sia vera. È Fidel Castro, alcuni giorni dopo, a confermare la notizia in una triste commemorazione funebre.

Seppellito con altri compagni a Valle Grande (il luogo era stato stato rivelato solo dopo molti anni da un militare dell'esercito boliviano presente alla cattura del Che), nel 1997 le sue spoglie sono localizzate e disseppellite e quindi traslate a Cuba dove, con grandiosi funerali di stato, vengono tumulate a Santa Clara.

Dopo queste brevi notizie, molti si chiederanno cosa c'entra il "Che" con "Poesie & Poeti"? Semplice. Pur avendo composto versi per passione, non è nelle sue composizioni che si può scoprire la vena poetica di Ernesto Che Guevara, ma nei molti scritti ai famigliari e ai compagni dove si può trovare vera poesia, nel senso che spesso le sue parole nascono dall'anima, lanciando messaggi profondi che solo quest'arte riesce a dare.

I suoi scritti più celebri sono sicuramente quelli tecnici e militari, come ad esempio: "La guerra per bande" e "La guerra di guerriglia". La sua poetica, invece, si scopre maggiormente nei suoi diari, tra cui il celebre "Diario di Bolivia", nelle sue lettere e nei suoi discorsi.


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