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General : NAPOLI
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 Message 1 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_Angela  (Original Message)Sent: 8/19/2006 3:06 PM

 

 

 

 

 

  Veduta di Procida e IschiaVeduta di Sorrento  

 

cm.38x26

cm.34x60

 

   

 

 



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 Message 8 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 4/22/2007 9:04 PM

Reply
 Message 9 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 4/22/2007 9:06 PM

Reply
 Message 10 of 22 in Discussion 
From: LucaSent: 4/29/2007 3:07 AM


 

<V:SHAPETYPE id=_x0000_t75 stroked="f" filled="f" path="m@4@5l@4@11@9@11@9@5xe" o:preferrelative="t" o:spt="75" coordsize="21600,21600"><V:STROKE joinstyle="miter"></V:STROKE><V:FORMULAS><V:F eqn="if lineDrawn pixelLineWidth 0"></V:F><V:F eqn="sum @0 1 0"></V:F><V:F eqn="sum 0 0 @1"></V:F><V:F eqn="prod @2 1 2"></V:F><V:F eqn="prod @3 21600 pixelWidth"></V:F><V:F eqn="prod @3 21600 pixelHeight"></V:F><V:F eqn="sum @0 0 1"></V:F><V:F eqn="prod @6 1 2"></V:F><V:F eqn="prod @7 21600 pixelWidth"></V:F><V:F eqn="sum @8 21600 0"></V:F><V:F eqn="prod @7 21600 pixelHeight"></V:F><V:F eqn="sum @10 21600 0"></V:F></V:FORMULAS><V:PATH o:connecttype="rect" gradientshapeok="t" o:extrusionok="f"></V:PATH><O:LOCK aspectratio="t" v:ext="edit"></O:LOCK></V:SHAPETYPE><O:P></O:P>

<O:P> </O:P>


E' Natale<O:P></O:P>


'O palpito 'e mille campane
che sonano p''a mezanotte
'a gioia che da' st'ammuina
anticipa nu quarantotto.

Aunite,c''o sciato 'e ll'affetto,
ce sta' tutta quanta 'a famiglia
e' doce a campa' stu mumento
ch'astregna sti core,atturciglia.

Miraculo 'e n'attimo 'e pace
na sosta pe' l'anzia 'e l'affanno
pe' nuje,ca pasture 'e presebbio,
avimmo campato nat'anno.

Vurria ca stu tiempo nemico
putesse ferma' sti minute,
sti ffacce,sti vvocche,sti mmane.
Na voce ch'allucca:Salute!

Chist'uocchie che guardano 'a cimma
'e n'albero addo' l'abbundanza
sta dint''e ggranate d''e lluce
ch'appicciano 'o ffuoco 'e st'ausanza.

Chist'uocchie ca cercano 'o bbene
tra mille culure 'e biancale
stunate e 'mbriacate p''o vino
mo so' lampe 'e vita,e' Natale!


<ST1:PERSONNAME w:st="on" productid="Luciano SOMMA">Luciano SOMMA</ST1:PERSONNAME>

http://www.interviu.it/cards/maggio1/na31.jpg

http://www.interviu.it/cards/maggio1/na127.jpg

http://www.interviu.it/cards/maggio1/na142.jpg

http://www.interviu.it/cards/maggio1/na155.jpg

http://www.interviu.it/cards/maggio1/na156.jpg

http://www.interviu.it/cards/maggio1/na136.jpg

 


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 Message 11 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 10/22/2007 2:00 AM

Reply
 Message 12 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/28/2008 10:25 PM
ANTONIODECURTIS
 </NOSCRIPT></IFRAME>
Sarà l’aria frizzante del golfo, sarà l’indole eruttiva delle sedimentazioni vulcaniche, ma l’ani...
 

Una passeggiata nella città dove più che in qualunque altro luogo le cose belle vengono enfatizzate con lo stesso eccesso usato per minimizzare le cose brutte. Dove tra maremoti, terremoti, eruzioni del Vesuvio, epidemie di peste e di colera è successo di tutto e chissà quant’altro avrebbe potuto succedere, se non ci fosse San Gennaro che la protegge...
E' naturale che Napoli sia la città del mito e del soprannaturale dove la Morte, che ne ha segnato storia e leggende, abbia un rapporto di confidenza che facilmente sfocia in familiarità, disinvoltura di modi e di espressione, terreno fertile per umorismo e ironia.
Gli stranieri la visitano con circospezione ma al tempo stesso divertiti. Consapevoli di trovarsi in un luogo unico al mondo, nel bene e nel male. “Napoli, l’unica vera metropoli dell’Italia meridionale: una città bellissima e sporca, una città vivace e indisciplinata, una città dalle molteplici sfaccettature, che come nessun’altra riesce ad attirare su di sé le opinioni più diverse�?
Napoli, una citta sulla quale si è depositato un tale strato di narrazione da renderla non visibile agli stessi napoletani.
Da qui la necessità di un ecologia dello sguardo, di un liberare soprattutto i sensi perchè siano essi e non ciò che già si sa della città a guidare la conoscenza di una Napoli che è anche rischio e sporcizia, che "ti ferisce a morte o ti addormenta" ma che è persino altro, altro, altro.



Io voglio bene a Napule pecchè 'o paese mio
è cchiù bello 'e na femmena, carnale e simpatia.
E vo...

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 Message 13 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/28/2008 10:44 PM

Una passeggiata nella città dove più che in qualunque altro luogo le cose belle vengono enfatizzate con lo stesso eccesso usato per minimizzare le cose brutte. Dove tra maremoti, terremoti, eruzioni del Vesuvio, epidemie di peste e di colera è successo di tutto e chissà quant’altro avrebbe potuto succedere, se non ci fosse San Gennaro che la protegge...
E' naturale che Napoli sia la città del mito e del soprannaturale dove la Morte, che ne ha segnato storia e leggende, abbia un rapporto di confidenza che facilmente sfocia in familiarità, disinvoltura di modi e di espressione, terreno fertile per umorismo e ironia.
Gli stranieri la visitano con circospezione ma al tempo stesso divertiti. Consapevoli di trovarsi in un luogo unico al mondo, nel bene e nel male. “Napoli, l’unica vera metropoli dell’Italia meridionale: una città bellissima e sporca, una città vivace e indisciplinata, una città dalle molteplici sfaccettature, che come nessun’altra riesce ad attirare su di sé le opinioni più diverse�?
Napoli, una citta sulla quale si è depositato un tale strato di narrazione da renderla non visibile agli stessi napoletani.
Da qui la necessità di un ecologia dello sguardo, di un liberare soprattutto i sensi perchè siano essi e non ciò che già si sa della città a guidare la conoscenza di una Napoli che è anche rischio e sporcizia, che "ti ferisce a morte o ti addormenta" ma che è persino altro, altro, altro.


 

Santa dell'Annunziata: L'origine del cognome ESPOSITO

 

LA CASA SANTA dell'ANNUNZIATA
Con Innocenzo III inizia la pratica di raccogliere bambini abbandonati presso
case di accoglienza, fu egli infatti che volle un brefotrofio presso l’attuale
ospedale S. Spirito di    Roma. La Casa Santa dell'Annunziata o Ave Gratia Plena,
fu eretta nel XIV secolo in epoca angioina come ex voto di due nobili napoletani
liberati dalla prigionia. Vi fu poi istituita una confraternita di Battenti e Repentiti,
cui si iscrissero i maggiori feudatari del Regno, che fondò un ospedale per gli
infermi poveri. Ma il ritrovamento nel 1322 di una neonata su cui era scritto
"buttarsi per poverta" fece si che da quel momento lo scopo principale dell'
opera pia fu accogliere e nutrire i trovatelli.  Nel 1343 la Regina Sancia di
Maiorca, seconda moglie del Re Roberto D'Angio, eresse a sue spese una
nuova chiesa con un grande ospizio moltiplicando le opere di beneficenza.
Ospizio per l'Infanzia abbandonata, i cosiddetti «figli della Madonna o figli d'
anunziata», ma anche ospedali per gli Infermi e pure un Banco di prestiti su pegni. Un dissesto
finanziario nel 1702 causò il fallimento del Banco dei Pegni limitando l'attività dell'opera pia alla
sola assistenza dei bimbi abbandonati. Uno spaventoso incendio poi distrusse gran parte dell'
edificio dell'ospedale e l'intera chiesa nel 1757. Il complesso fu ricostruito successivamente su
progetto del Vanvitelli.

 


 

LA RUOTA degli "ESPOSTI"
All’esterno, al di sopra della ruota, vi era un puttino di marmo con la scritta: “O padre e madre che qui ne gettate / Alle vostre limosine siamo raccomandati�? il passaggio attraverso il muro, per mezzo del torno, trasformava i bambini in "figli della Madonna" “figli d’a Nunziata�?o “esposti�?
La buca dell’Annunziata fu rimpicciolita da un palmo quadrato a tre quarti di palmo per limitarne l'ingresso ai soli neonati, ma accadeva che le madri cospargessero di olio i loro bimbi più grandi causando spesso lesioni interne e fratture agli arti.
Alcuni neonati venivano trovati con al collo un foglio di carta con il nome dei genitori, o qualche pezzo di oro o di argento. Tutto quello che indossavano qualsiasi segno particolare veniva annotato in un registro, ogni cosa che potesse servire, un giorno, al suo riconoscimento. Accadeva anche che la madre o il padre tornassero a riprendere il proprio figlio o che la madre si presentasse come balia riuscendo ad allattare il bambino ricevendone anche un compenso.
Le condizioni di vita per questi bimbi era pessima all'interno della Santa Casa, molti "esposti"morivano entro la prima settimana di permanenza,i più fortunati venivano affidati a balie esterne sotto compenso. O,per quelli ancora piu' fortunati,c'erano coppie senza figli che si recavano al brefotrofio per adottarne uno, dopo averne fatta regolare richiesta al Governatore dell’opera pia.
Tutti i bambini ricevevano il nome di battesimo dalla balia che li aveva in carico, il cognome era uguale per tutti: Esposito. Gioacchino Murat volle l’abolizione di tale usanza nel 1814 mentre la ruota venne definitivamente abolita nel 1875 ma il brefotrofio le sopravvisse per oltre un secolo.

Ma chi, in numero crescente nel corso del Settecento e agli inizi dell’Ottocento, e perché, rinun...
 

archivio storico dell'Annunziata, registro

Il numero dei bambini abbandonati durante il Settecento non è un evento che si verifica solo a Napoli: a Roma questi bambini abbandonati prenderanno il cognome «Proietti», in Toscana ed in Umbria « Diotiguardi» e «Diotiallevi» e tale evento si verificherà in tutta Europa. Poiché dopo la Controriforma i figli innaturali erano
considerati degli illegali, esclusi dalla società, la scelta di mostrare il proprio figlio, affidandolo ad un'opera pia, poteva significare dargli un avvenire sempre che fosse sopravvissuto all'altissima percentuale di decessi che caratterizzava all'epoca questi tipi di educandato. La collocazione dei neonati nella «Ruota» assumeva un valore figurativo poiche' il trapasso attraverso il muro per mezzo del «Tomo» trasformava il bambino in «figlio della Madonna» ed è con questo nome che per secoli furono chiamati gli «Esposti dell’Annunziata».

 

L'archivio cartaceo tra registri, fasci e fascicoli, comprende circa 7.500 unità archivistiche che si riferiscono alle diverse attività della Casa Santa, dalla gestione del suo patrimonio, all'attività del Banco e vanno dal XV secolo al 1950. Si distinguono tra questi le serie Deliberazioni e Filze dei Projetti, che riguardano i bambini anonimamente abbandonati attraverso la Ruota degli Esposti.


 
Napoli è una delle città più antiche dell’Occidente e,come tutte le città dell'antichità (Babilonia, Troia, Roma), che vantano tradizioni mitologiche e leggende sulla sua origine, anche la nascita di Napoli è celata dal suggestivo velo del mito e della leggenda. Studiosi e letterati, nel corso dei secoli, si sono sbizzarriti ad illustrare con estro e fantasia innumerevoli racconti, ma protagonista di tutte le leggende sulla fondazione di Napoli è sempre la mitica sirena Partenope che, caduta vittima dell’astuzia di Ulisse, abbandonò adirata il temibile scoglio delle sirene per giungere all’isolotto di Megaride, che accoglie l’attuale Borgo Marinaro, in via Partenope.
 

'A storia 'e Napule,. pe' chi vo' ridere,. nasce a Palepoli e annanze va.
Son fatti Storici,. so' 'nciucie e frottole,. bugie mischiate con verità.
Lo dico prima, pe' me difendere, non v'aspettate gran novità, pecchè e' Storie.. spesso so' favole.. e si esistessero..chi 'o po' giurà?
Saranno vere, saranno apposta,saranno false... chi 'o saparrà.
Cert'è ca Illustri scrittori celebri s'affaticarono pe' 'nce cuntà.
E. De Rosa

 

Il Vesuvio, montagna di fuoco spiata, temuta, venerata, narrata, cantata quale simbolo della potenza schiacciante della Terra. Il nostro Vulcano ha ispirato note canzoni e testi poetici e narrativi. Basti pensare che nel 1880 fu composta "Funiculì Funiculà",canzone scritta dal giornalista Peppino Turco e musicata da Luigi Denza, divenuta poi canto popolare famosa in tutto il mondo.Secondo i critici musicali, tale melodia segnò nel 1880 la nascita della canzone napoletana moderna, fu scritta per celebrare la prima funicolare vesuviana, inaugurata proprio in quello stesso anno. Il testo servì a rendere famoso il nuovo mezzo di trasporto della funivia, sia ai turisti che agli stessi napoletani, i quali sembravano restii a salire il Vulcano con la funicolare;loro che da anni erano abituati a percorrere i campi del Vulcano solo a piedi oppure servendosi degli asini e dei portantini. La canzone quindi spingeva le persone a provare queste nuove emozioni, sensazioni, brividi, garantiti per l’appunto dalla funivia.

La città di Napoli è un puzzle geografico incastonato tra le insenature di un golfo unico nel suo genere, a ridosso di un calderone vulcanico che ne ha determinato l'inconfondibile profilo ortografico e ne ha condizionato gli insediamenti antropici. L'alternarsi di rilievi armoniosi, di fertili pianure e di ricami costieri inconfondibili ha fatto sì che il territorio conciliasse attività marinare con la produzione agricola, paesaggi collinari e montani con ambienti marini di rara armoniosità, una psicologia aperta e immaginifica con una tenacia e una rassegnazione capaci di resistenze montanare.

 

SIMM 'E NAPULE..

Parlare di noi napoletani appare un'impresa avventurosa, poichè ormai sembra che tutti sappiano tutto dell'animo, delle abitudini, dell'indole, e della realtà dei napoletani. E di Napoli, polo unificante di popoli, lingue, culture e tradizioni che si rifanno a un fondamentale modello socio-antropologico definito lungo i millenni della sua storia. quella Napoli immaginaria che ha reso la sua icona unica e universale, intrisa degli archetipi primari del vissuto napoletano nel Mediterraneo dall'antichità all'era contemporanea. Tali archetipi affiorano nelle leggende, nelle strutture urbanistiche, nella lingua, nei gesti, nella gastronomia e nelle consuetudini sociali dei suoi abitanti. Identificare la fisionomia della gens partenopea che può spaziare dalla leggendaria sirena alle maschere delle atellane, da Masaniello a Pulcinella, da Carlo III a Franceschiello, da San Gennaro a Padre Pio, da Basile a De Simone, da Sofia Loren a Filumena Marturano, da Totò a Pappagone, da Achille Lauro a Bassolino, dallo scugnizzo a Maruzzella, da Sivori a Maradona, da Viviani a De Filippo, dai no global ai disoccupati organizzati. I tratti dominanti sono comunque la fantasia, l'acume, l'intuizione, la genialità, l'impulsività, l'improvvisazione, la musicalità, l'ispirazione ma talvolta anche il furore, il cinismo, la volgarità, il nihilismo, la dissacrazione, lo sconcio.Napoli trova la sua identità nelle sue radici osco-ellenistiche e nel suo particolare percorso storico che l'ha vista consolidarsi quale polo unificante di popoli, lingue, culture e tradizioni che si rifanno a un fondamentale modello socio-antropologico definito lungo i millenni della sua storia. Viene fuori quella Napoli immaginaria che è una categoria dello spirito e che ha reso la sua icona unica e universale, intrisa degli archetipi primari del vissuto napoletano nel Mediterraneo dall'antichità all'era contemporanea.Tali archetipi affiorano nelle leggende, nelle strutture urbanistiche, nei materiali edilizi, negli spazi, nelle forme e nei volumi degli insediamenti urbani, nella lingua, nei gesti, nella gastronomia e nelle consuetudini sociali dei suoi abitanti. La realtà napoletana è un vero e proprio laboratorio di sociologia sperimentale. Ma si ha l'impressione che il napoletano sfugga a qualsiasi tentativo di catalogazione e definizione sociologica.
(da G. Napolitano- "
Sociopatologia della napoletanità")

 

Conviene, a chi nasce,
molta oculatezza
nella scelta del luogo,
dell'anno e dei genitori.
(Gesual...


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 Message 14 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/28/2008 10:57 PM

Vire Nàpule e po' Muore

Na vote se riceva:- Vire Nàpule e po' Muore.
Oppure:- Se Salierno tenesse o puorte, Nàpule essa muorte.
O primme case o pozze spiegà:-
Na vote, partenne ca nave imma passate vicine all'isolotte é Muore.
Era chiare c'avenne lassate Nàpule évana viste Muore, senza murì.
O siconde case stà sotte a l'uocchie é tutte quante nuje.
Salierno mo' o tene nu puorte.  E allore Nàpule è bell'e muorte!
Si Nàpule è muorte - é Napulitane stanne agonizzanne!
Nun se parle chiù a lengua nosta, struppiate é ogni manera.
Nun se vérene chiù scugnizze pa�?vie.
Sule Vuò cumprà e tràffeche ra matina à sera.
Nun se cure chiù chella culture che ce ha rate tantu splendore.
Arò stà chiù a museca nosta, arò stà tutte chella gente
ca se ‘ncantave cu Pulicenelle, che manduline?
Na vote rinte é viche bastave na nota pe fà nu cuncertine.
E pparule noste èrene tutte nu prufumme.
Mo' è tutte na puzza e nun ce stà manche chiù nu ciumme.
E' rimaste o scheletre ra Raffineria
e chella piovra é cemente che và ro Vesuvie à Ferrovia.
Ma si o Vesuvie se scete o si vene o terramote,
addò fuje tutte chella gente, a chi se vote?
Pure San gennare s'è stufate é tanta schifezza
é tant' abbanduone, é na città 'ntasate é munnezza.

G. Napolitano

 

 

Napoli non è soltanto la città che tutti conosciamo o crediamo di conoscere. È anche la città del...

VIRGILIO IL MAGO
Il discorso sull'esoterismo a Napoli si fa molto interessante nel Medioevo
norm... 

 

Il CASTEL dell'OVO
Virgilio, narrano molte cronache medioevali napoletane,
entrò nel castello di...

 

 

 

 

PARTHENOPE
Viveva, un tempo, sulle coste ioniche della Grecia, una
bellissima fanciulla di nome ...

La REGINA GIOVANNA
Sulla città di Napoli hanno regnato due regine col nome di Giovanna, entrambe ...

Per tutelare il suo buon nome, Giovanna non avrebbe esitato a disfarsi di loro appena soddisfatte...

 

 

Ferdinando IV soleva andare a trovare la Duchessa di Florida al Vomero, in carrozza. Una volta, a causa della strada incurata e piena di fossi, il suo di dietro ne risenti' per giorni e giorni.
A quel punto Re Ferdinando, convocò a corte indignato, l'architetto responsabile della pubblica viabilità
minacciandolo di sollevarlo dall'incarico per l'incuria e l'abbandono in cui lasciava le strade del Regno. Tentando di giustificarsi, l'architetto di Corte, obietto' che dopotutto, sua Altezza Reale, dal posto in cui stava seduto, non aveva potuto ben valutare con lo sguardo, lo stato della strada.
Re Ferdinando ancora più stizzito gli rispose:
"Né archite' ma che gghiate dicenno? Nun 'o ssapite ca e vvie nun se so valutate maie cu ll'uocchie. ma sempre co culo!"


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 Message 15 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/28/2008 11:11 PM
 

 

Il fantasma di MARIA D'AVALOS
A Napoli tutti erano a conoscenza della tresca tra la bella Maria e Fabrizio Carafa duca D'Adria. Lei è Maria D'Avalos legittima consorte di Carlo Gesualdo principe di Venosa, famoso madrigalista, innamoratissimo della splendida ma irrequieta Maria. La nobiltà sussurra, il popolo commenta, con divertita indulgenza, l'audacia dei clandestini amanti. Ma l'amore rende ciechi. Don Carlo per qualche tempo non vede o non vuole vedere quel che gli succede intorno. La passione tra i due giovani amanti cresce ogni giorno di piu', e presto anche la prudenza viene messa da parte. Tutti vedono. Tutti sanno. E' il 17 ottobre 1590, Maria D'Avalos e Fabrizio Carafa, quando in una delle stanze del celebre palazzo S. Severo, rinnovano, ancora una volta, l'eterno incantesimo dell'amore.
E Don Carlo, spalancata la porta di casa, sorprende i due amanti avvinti sul talamo. Il principe non partecipa materialmente all'uccisione e rimane nell'anticamera; solo quando tutto fu compiuto dai suoi sicari, si accanisce col suo pugnale, si getta su quei due corpi nudi, colpisce accecato dall'odio e dalla passione, e.... ancora, ancora, e .... ancora. I corpi straziati e nudi degli amanti furono esposti sul portone di casa, per mostrare alla città che l'onore del principe di Venosa era salvo. Da allora, nelle notti senza luna,l'ombra evanescente della bella Maria vaga tra l'obelisco di S. Domenico Maggiore ed il portale del palazzo di S. Severo. Intorno alla piazza, a quella vetusta dimora che fu teatro d'amore e di passione, di vendetta e di morte. il suo incedere sembra riecheggiare per gli oscuri vicoli circostanti i versi ispirati al Tasso dalla sua tragica vicenda:
    "Piangete o Grazie, e voi piangete Amori,
     feri trofei di morte, e fere spoglie
     di bella coppia cui n'invidia e toglie,
     e negre pompe e tenebrosi orrori...
     …la bella e irrequieta Maria. ...

La vita per Carlo Gesualdo fu certamente molto dura. Fu colpito da sofferenze
e da perdite molto dolorose, come la morte dei due figli Alfonsino ed Emanuele.
Dopo 17 anni di tormento e di dolore, si lasciò morire nel 1613. Il suo corpo
riposa a Napoli nella Chiesa del Gesù Nuovo.

 

 

 

RAIMONDO di SAGRO Principe di San Severo
Centocinquant'anni più tardi, lo stabile fu acquistato dall'alchimista Raimondo di Sagro,
 principe di Sansevero.Dei tanti Principi di San Severo vissuti a Napoli il più vivo nella
fantasia popolare è sicuramente Raimondo, un personaggio davvero sorprendente
vissuto nel XVIII secolo e più precisamente tra il 17 10 e il 1771. Di lui si è detto che fu
 naturalista, filosofo, astronomo, poeta, scrittore, soldato, mecenate. Una personalità
poliedrica, entrò a far parte della confraternita dei Rosa-Croce, dove venne iniziato agli
antichi riti alchemici. Egli amava praticare di persona ogni genere di esperimenti. ...di
notte non era raro vedere strani fumi colorati o sentire odori particolari, da qui l’appel
lativo di stregone, che gli attribuì il popolo napoletano. Raimondo Di Sangro affermava
di aver inventato una lampada perpetua; e qualcuno ritiene che avesse realizzato una
carrozza che poteva muoversi per brevi tratti senza bisogno di cavalli. Inoltre - e ciò è
documentato - Di Sangro progettò una sorta di carrozza anfibia in grado di attraversare
gli specchi d'acqua. In particolare il principe Raimondo era affascinato dall'anatomia e
dalla fisiologia del corpo umano. Ancora di più, voleva trovare il modo di diventare im
mortale. Fu così che arrivò alla creazione di un prodotto dalla composizione misteriosa,
che nelle intenzioni dei principe sarebbe stato addirittura in grado di resuscitare i morti.
Narra la leggenda che Ralmondo, dopo aver ordinato ad un servo di fare a pezzi il suo
cadavere e di riporlo in un baule, decise il momento della propria dipartita ed assunse la
misteriosa sostanza. Il corpo dei principe avrebbe dovuto rimanere nel baule per un certo periodo di tempo, dopodiché egli sarebbe tornato in vita. Ma i familiari del principe, venuti a sapere dell'esistenza del baule e credendo che in esso si celasse un favoloso tesoro, si fecero prendere dall'avidità. il baule fu aperto anzitempo. Lo spettacolo che ne segui è degno diun film dell'orrore. Era di nuovo "vivo", ma il processo di saldatura degli arti non aveva potuto completarsi, e il principe era divenuto una creatura orripilante e grottesca. In mezzo al terrore dei presenti, ciò che era stato Raimondo di Sangro urlò e si accasciò nuovamente nel baule, cadendo a pezzi. Di fatto, morì una seconda volta, definitivamente.

 

LA CAPPELLA SAN SEVERO
La Cappella Sansevero dei Sangro racchiude le spoglie dei membri della famiglia si trova in Piazza San Domenico Maggiore in via Francesco de Sanctis n. 17. Tra il 1744 e il 1766, quella che in origine era una semplice chiesetta, divenne con Raimondo uno dei luoghi più misteriosi di Napoli. Egli chiamò presso di sé i più rinomati scultori e pittori perché dessero vita a un progetto tutto particolare. Gli artisti che lavorarono nella cappella seguirono le precise istruzioni del principe e riferirono che egli fornì strani colori e un tipo di mastice che una volta asciutto assomigliava in tutto e per tutto al marmo. Il risultato è un piccolo gioiello del tardo barocco con statue, stucchi, marmi e oro. Ogni cosa ha un suo preciso significato, le statue che sono quasi tutte femminili, lanciano il loro messaggio attraverso i vari oggetti che tengono in mano o che giacciono ai loro piedi. Libri, compassi, fiori, cornucopie, caducei fiammelle e cuori. La statua dedicata alla madre è "La Pudicizia"di A. Corradini e rappresenta una donna nuda coperta da un velo. Osservando questo velo scolpito si ha l’impressione che sia stato steso solo in seguito al completamento del corpo di donna. Il monumento funebre dedicato al padre, Antonio di Sangro, è "Il Disinganno"di F.Queirolo e rappresenta un uomo che lotta per liberarsi di una rete. E il famoso"Cristo velato" di G. Sammartino, una scultura che lascia il segno per il suo eccezionale realismo. Sia il velo che la rete fanno pensare all’uso di quel mastice-marmo descritto dagli artisti che lavorarono al restauro della Cappella.
Forse è vero che il principe aveva creato un materiale estremamente malleabile che una volta asciutto diventava uguale al marmo. Oppure, un liquido capace di cristallizzare qualsiasi materia rendendola simile al marmo. Materiali di natura alchemica? Può essere.
Quando si parla del principe Raimondo di Sangro sovviene immediatamente anche un altro celebre aneddoto, che riguarda la vicenda delle cosiddette macchine anatomiche. E' ancora possibile vedere questi strani e macabri oggetti nella già citata Cappella Sansevero a Napoli. Due corpi, uno maschile e uno femminile: sono composti dallo scheletro e dal groviglio inestricabile delle vene e dei capillari che avvolgono le ossa come un reticolo fittissimo. L’intero apparato cardiocircolatorio che avvolge lo scheletro è stato, in pratica, pietrificato e ancora oggi non è chiaro come sia stato ottenuto un simile risultato. Particolare impressionante è che la donna era incinta. Sono ben visibili i resti del feto ai suoi piedi.

Ancora oggi c'è chi giura di aver visto lo spettro di Maria aggirarsi tra i corridoi; e c'è chi s...


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From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/28/2008 11:22 PM
Noi Napoletani, è risaputo, siamo alquanto  beffardi nei confronti delle autorità
        precostituite, ivi compresa quella ecclesiastica, ciò nonostante non gradiamo che venga
     minimamente messo in discussione il potere del Principale Santo Protettore di Napoli:
                         San Gennaro.  Ianuario era il vero nome di S.Gennaro.
                         Discendeva, infatti dalla famiglia gentilizia Gens Januaria sacra al bifronte dio
                        Giano. Quindi Gennaro (trasformazione napoletana di Ianuario) non era il suo
        nome, bensì il cognome. Fonti non ufficiali affermano che il suo nome fu Procolo. Al di la' di
                 questo, che andava chiarito, Gennaro resta, senza dubbio, una delle figure piu' famose nel
                    panorama partenopeo e si puo' tranquillamente affermare che e' noto in tutto il mondo.

Faccia gialla!
faccia senza culore!
faccia ‘ngialluta
nun fà ‘o traditore!
fancillo ‘stu "Miracolo" fa ampresso
ca te mannammo cientomila "Messe"!
..E si vuò chesto, pe�?‘m’accuntentà
t�?‘o cerco "Addenucchiato"... San Gennà!
(G.Russo)
 
Madonna mia,
te ringrazio c' 'a faccia'mbruscenata pe' terra ca m'hé fatto vedé'
na bbona e santa nuttata, comme spero 'e vedé' na bbona e santa jurnata.
Faccia 'ngialluta (1), accurre e stuta 'sta vampa de lo 'nfierno.
Ora pro nobis.
San Gennaro mio potente, scioscia chesta cennere e sarva tanta gente d' 'a morte e lav' ardente.
Ora pro nobis.
Miserere! Miserere! So' 'e peccate, so' 'e peccate! San Gennaro miserere, San Gennaro ora pro nobis.
Dille a Dio, a Cristo a 'e Santi ca pentite simme nuje,
ca peccà' cchiù nun vulimme.

(1) Invocazione a San Gennaro espressa dal popolo di Napoli in occasione della disastrosa eruzione del Vesuvio avvenuta alla metà' di giugno del 1794 accompagnata da scosse di terremoto e pioggia di cenere.
 
 

Il miracolo di San Gennaro si è perpetuato fino ai giorni nostri e si rinnova due volte l'anno, per la maggior gloria della città di Napoli e la maggior confusione degli atei. I fedeli che si sono affidati e che si affidano al momento cratofanico del sangue che si scioglie sono stati salvati dalla fame, dalla peste, dalla lava del Vesuvio, dai terremoti e saranno salvati dalle malattie dai momenti critici e da ogni stato di trascendenza irrelata. Il Santo a cui le cosiddette ‘’parenti di S Gennaro’�?rivolgono preghiere di protezione, difesa e consolazione è presente e vivo �?Potenzia di S Gennaro, pruteggetece, Sangue di S Gennaro, defendetece�? San Gennaro non sarebbe esistito senza Napoli, né Napoli potrebbe esistere senza San Gennaro. I Normanni hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha scacciati. Gli Svevi hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha scacciati. Gli Aragonesi hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha puniti. Gli Angioini hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha scacciati. Gli Spagnoli hanno tiranneggiato su Napoli, ma San Gennaro li ha battuti. Infine i Francesi hanno occupato Napoli, ma San Gennaro li ha messi alla porta.

 

Il sangue, custodito in una ampolla nel Duomo di Napoli, si scioglie il 19 settembre, il sabato precedente la prima domenica di maggio e il 16 dicembre.
Oltre che a Napoli, il miracolo si verifica pure quasi simultaneamente nella chiesa di San Gennaro alla Solfatara di Pozzuoli, sulla pietra su cui la tradizione vuole fu decapitato il Santo.

L'Urbs sanguinum, ovvero la "città dei sangui", è Napoli, e cosi fu definita nel 1632 da un osser...

 

Ritornando a San Gennaro pare che quello del sangue che da solido diventi liquido non sia l’unico evento miracoloso attribuito al santo: la Passione Vaticana descrive di un ordine da parte del prefetto Timoteo di uccidere durante le spietate persecuzioni di Diocleziano, Gennaro per il suo ostinato rifiuto a rinnegare la fede cristiana; ma le lame dei coltelli dei carnefici, pur attraversandogli il corpo, non gli provocarono alcun male. La Passione Vaticana inoltre ricorda il tentativo dello stesso Timoteo di dare Gennaro in pasto alle belve ma ancora una volta il prefetto venne sconfitto perché introdotte dell’arena, di Pozzuoli, le belve divennero mansuete: un orso si avvicinò allora vescovo di Benevento che lo benedisse e lo accarezzò. Sono passati secoli e secoli dal 19 settembre 305 giorno in cui nei pressi della solfatara di Pozzuoli avvenne la decollazione di San Gennaro: la lama del carnefice con un colpo secco recise il capo del martire. Una donna pietosa furtivamente ne raccolse il sangue in due ampolle di vetro per farne oggi una reliquia oggi celebre in tutto il mondo, conservata , dopo varie traslazioni nella cappella del Tesoro in Duomo. Nel 431 in occasione del trasferimento delle requie del Santo da Pozzuoli a Napoli un'altra donna presentò al vescovo ed altri rappresentanti dell’alto clero le due ampolle contenenti il sangue coagulato del martire. Il sangue quasi per attestare la veridicità della donna , si liquefece all’improvviso sotto gli occhi dei presenti e di una folla accorsa gridando al miracolo. Ciò come già detto si ripete due volte all’anno.

Sul fenomeno della liquefazione dei Sacri Grumi contenuti nelle antiche ampolline,il Vaticano per verità ha sempre tenuto un atteggiamento molto prudente. Le fonti ecclesiastiche lo hanno sempre definito con termine laico "prodigio". Non hanno mai parlato ufficialmente di miracolo, anzi nel maggio 1965, con S.Nicola di Bari, S.Luigi dei Francesi, S.Giorgio e S.Filomena, viene concesso soltanto un Culto Locale e facoltativo.

I numeri di San Gennaro: 9-15-18-53-55


 

Serenata 'e Pulicenella
Ntretè
'ntretella mia,
sta venenno Pulicenella ...
Pulicenella tujo!
Sciasciona...
Sciasciona mia, affàccete!
 
Nennè, guè guè, frabotta,
ccà sta Pulicenella...
te caccia la lenguella...
e dice:"Fatte 'ccà"...!
 
E ched è, nun mme sente?!
Nenné', cu 'sta vucchella,
cu st'uocchie, cu sti vruoccole,
lu core, comm'a spruoccolo,
mme staje a straziá!
E nun s'affaccia ancora!
 
Nenné'...'ntreté'...'ntretélla...
cara...caré'...carella!
'Ntreté', rusecarella....
nun farme cchiù pená!
 
E che ll'aggio fatto 'e male?!
Essa è sempe 'o core mio...
Gioja de st'arma mia, jésce ccá fora
ca mámmeta nun c'è...jésce a malora!!
 
'Ntreté'!
'Ntretélla mia!
Carugnona!
Carugnona! Carugnona!...
Jammoncenne...
e Ghiammoncenne!
 
(Cimarosa 1749) [ascolta]

 

Quando si parla di napoletani in Italia o in giro per il mondo si ricorre inevitabilmente ai noti stereotipi del loro carattere pittoresco e del loro temperamento immaginifico. Definire il carattere napoletano è come costruire un caleidoscopio di sentimenti, di valori, di atteggiamenti. La stessa lingua napoletana, che pure coglie le più tenui sfumature del concerto amoroso, a volte non regge al concentrarsi delle emozioni e ricorre ai vocalizzi sonori, al suono degli strumenti, ai riverberi dell'eco e a una ricca dovizie di gesti e di smorfie capaci di trasmettere i oiù reconditi pensieri e i più intimi sentimenti. Nei quartieri popolari si svolge ogni giorno una delle esperienze più promettenti del teatro dell'assurdo e dell'happening improvvisato. In questo teatro improvvisato s'è formata quella scuola del realismo che ha arricchito la vena creativa del teatro e della cinematografia italiana.

 

Tra i clichés popolari più ricorrenti, c'è il napoletano indolente, geneticamente scansafatiche, 'ca non 'se fir'é fà mai niente. Pensa sul'a mangià, a fòttere e a campà. Nassuna altra maschera come Pulcinella lo rappresenterebbe meglio

C'è il napoletano saccente: che 'sape tutt'isse, sempre pronto 'a sputà sentenze.
.C'è il napoletano divertente: sempre pronto a cogliere il lato allegro della vita e a trasformare in bountade anche l'espressione più deprimente.
.C'è il napoletano prepotente: abituat'a'ffà o' guappo che fiacca 'a vasà 'e mmane a chi è putente.
.C'è il napoletano galante: capace 'e perdere 'a capa 'a vista 'e na suttane.
.C'è il napoletano invadente: nun'se fa maje'e fatte suoie; s'adda 'ntricà sempe 'de fatte r'a'ggente.
.C'è il napoletano cuntente: cu 'na fronna 'e limone te scrive'na canzone e cu 'nu bicchiere 'e vino te fà 'nu cuncertino.
.C'è il napoletano sfottente: te squadre 'ra cap'é piere e te riduce 'a 'na sputacchiera.
.C'è il napoletano insolente: nun porte rispetto manca a' nu parente.
.C'è il napoletano insistente: 'to liev'a 'nanze e t'o truov'a ponente.
.C'è il napoletano bollente : 'è tutto 'nu skizze, è tutto 'nu skatte, si è 'nu scugnizze zompa 'comme 'na jatta.
.C'è il napoletano gaudente: che pensa solo alla trippa e al suo alter ego pendente. Mangiare è una filosofia e la cucina il suo autentico atelier.

 

IL RITO DEL CAFFE' EQUIVALE A UNA SEDUTA DELL'ANALISTA.
IN QUALE ALTRO PAESE CON POCHI CENTESIMI SI PUO' SCEGLIERE E ORDINARE IN UNA GAMMA COSI' VASTA 'NA TAZZULELLA 'E CAFE' CON UNA MISCELAZIONE DA GUINNESS DEI PRIMATI?

 


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 Message 17 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/28/2008 11:53 PM
I cosiddetti "Versi proibiti", alcuni raccolti anche nella antologia "L'inferno della poesia napo...
Ferdinando Russo (Napoli, 25.11.1866 - 30.01.1927)prese ispirazione dalla realtà della strada, ut...
 
 
 
 
 
 
 
 

'A PIZZA
" La pizza con mozzarella e il pomodoro si chiama «margherita» non per il fiore, ma in omaggio alla grande Regina d'Italia.
Nel giugno 1889 Raffaele Esposito; cioè Pietro "il pizzaiolo", ebbe la visita di un funzionario di casa reale, il quale lo invitò a recarsi al Palazzo Reale di Capodimonte per preparare alcune pizze ai Sovrani, che si trovavano a Napoli. Don Rafele obbedì alla chiamata e mise tutto il suo zelo e tutta la sua scienza nel confezionare le pizze per gli augusti clienti. Raffaele Esposito confezionò tre qualità di pizza: una bianca, con olio, formaggio e basilico; una con i cecenielle (bianchetti); e infine, una con mozzarella e pomodoro. Ma la Regina mostrò di gustare particolarmente quella con mozzarella e pomodoro. Da allora, in seguito al giudizio regale, la pizza con mozzarella e pomodoro si chiamò nelle nostre e nelle altre pizzerie «margherita». Un foglietto ingiallito dal tempo, una lettera dell'«spettore di bocca» di S.M., trasmetteva il gradimento sovrano per le ottime pizze�?.". Riprodotto il documento era:

 
Pregiatissimo Sig. Raffaele Esposito (Brandi)
Le confermo che le tre qualità di Pizze da Lei conf...

Le uniche autentiche pizze napoletane sono la “marinara�?(olio, pomodoro, origano, aglio e sale), creata per i marinai che partivano per mare all’alba, e la “margherita�?(olio, pomodoro, formaggio grattugiato, mozzarella e sale), quella della regina Margherita, anche se il “calzone�?(pasta ripiena di formaggio e salsiccia) è ammesso insieme ad altre specialità.
La pizza, piatto individuale (niente a che vedere con i colossi familiari serviti negli Stati Uniti) e popolare per eccellenza, va mangiata bollente.
Si racconta l’aneddoto del regista Vittorio De Sica che, dal celebre Ciro, lasciava che i suoi amici si sedessero a un tavolo e restava in piedi vicino al forno per assaporare prima che si raffreddasse, anche per un solo istante, la sua “marinara�?
La pizza deve essere agevolmente ripiegabile su se stessa a "libretto". E' questo non solo un importante elemento a tutela del consumatore (una pizza che si "spezza in due" va restituita sdegnosamente al pizzaiolo chiedendone la sostituzione !) ma anche il frutto dell'esperienza e del genio dei napoletani: piegata in tal modo la pizza impedirebbe alla sua guarnizione di sgocciolare e soprattutto estrinsecherebbe tutte le sue potenzialità sensoriali : ....basta chiedere ad un napoletano doc !

La tradizione vuole che la sfogliatella sia nata nel convento Santa Rosa che si trova vicino ad Amalfi in Conca dei Marini, affacciato sul mare. Solo la pazienza ed il tempo libero delle donne rinchiuse nei conventi potevano consentir loro il lungo lavoro di stendere in striscie strettissime lunghe parecchi metri e di un millimetro circa di spessore la pasta di sola farina, acqua, sale e sugna per poi arrotolare due volte in rotoli strettissimi da tagliare a fette di un centimetro di spessore, ripiegare a sacchetta o ad imbuto e riempirli con un cucchiaio di delicato ripieno si semolino, cotto in acqua bollente, ricotta, uova, zucchero, canditi a pezzetti. Il dolce ebbe un successo straordinario così che si decise che il dolce si chiami come il monastero: Santa Rosa. Come tutti i doni di Dio, la Santarosa non poteva restare confinata in un sol luogo, per la gioia di pochi ma ci mise circa centocinquant’anni per percorrere i sessanta chilometri tra Amalfi e Napoli. Qui arrivò ai primi dell�?00, per merito dell’oste Pasquale PINTAURO. Si, proprio lui. Perchè nei giorni di cui stiamo parlando era effettivamente un oste, con bottega in via Toledo, proprio di fronte a Santa Brigida.

 

So�doje sore: ‘a riccia e a frolla.
Miez’a strada, fann’a folla.
Chella riccia è chiù sciarmante...Nel1818, Pasquale entrò in possesso, per una via che non è mai stata chiarita, della ricetta originale della santarosa. Pintauro da oste divenne pasticciere, e la sua osteria si convertì in un laboratorio dolciario. E non si limitò a diffondere la santarosa: la modificò, eliminando la crema pasticciera e l’amarena, e sopprimendo la protuberanza superiore a cappuccio di monaco. Era nata la sfogliatella. La sua varietà più famosa, la cosiddetta “riccia�? mantiene da allora la sua forma triangolare, a conchiglia. E ancora oggi, se si cerca l’eccellenza, la bottega di Pintauro sta sempre là: ha cambiato gestione, ma non il nome e l’insegna, e nemmeno la qualità. Che resta quella di quasi duecento anni fa.

  “Napule tre cose tene belle: ‘o mare, ‘o Vesuvio, e ‘e sfugliatelle�
(da Attanasio, a Vico Fer...

 

LA PASTIERA
Una antica leggenda narra che ogni primavera Partenope emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia. Per ringraziarla di un così grande diletto, gli abitanti decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero. Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella sirena:la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l'acqua di fiori d'arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo. La sirena, felice per tanti doni, depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della bella Partenope.

'O BABBA'
La sua origine si lega al re di Polonia Stanislao Leczynski vissuto nel XVIII secolo, al tempo del suo dorato esilio nel ducato francese di Lorena. Era un bravo sovrano ma soprattutto un fine gastronomo. Un giorno mentre stava gustando un Kugelops (dolce di origine austriaca che è una via di mezzo tra la brioche e il panettone) gli venne lo schiribizzo di bagnarlo con del rum. l’impasto divenne più morbido e saporito, e deliziò talmente tanto il nostro sovrano che lo battezzò “L’alì Baba�? un dolce da Mille e una Notte. l Babà, dalla provincia francese conquistò Parigi grazie ai favori del celebre pasticcere Sthorer, e da qui giunse a Napoli al seguito dei Monsù, i cuochi mandati dai nobili ad istruirsi alla scuola d’Oltralpe. Con il passare del tempo questo dolce passò dalle tavole aristocratiche ai tavolini dei caffè, nelle diverse interpretazioni di forma (budino o funghetto) e guarnizione. In ogni caso, è la semplicità la sua caratteristica più peculiare. Il babà, infatti, è equilibrio. La sua consistenza è il suo vero segreto. No a quelli troppo poco bagnati, quasi asciutti, o quelli troppo bagnati, inondati di rum. Il vero Babà è bontà, equilibrio e discrezione.
"Si nu�?babà" diciamo a qualcuno quando vogliamo trasmettergli tutto il nostro carnale sentimento, la stima e l'affetto.

�?/FONT>O babà nasce polacco,
nuje l’avimme migliorate.
Sì, ce piaceno ‘nu sacco
chisti dolce lievitate
inzuppate dint’o rrumme,
fatte a form’e fungetiello.
I che gusto, e che prufumme!
Né babà, quanto si�?bello!


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 Message 18 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/28/2008 11:54 PM

"Ogni tentativo di dare alla vita un qualunque significato
e' teatro"
E.De Filippo

 

I DE FILIPPO
Un primo tentativo di formare una compagnia viene fatto
da Eduardo nell'estate del '30 , il complesso viene chiamato
'Teatro umoristico di Eduardo De Filippo con Titina e Peppino
' con spettacoli a Roma e Civitavecchia. Dopo un breve rientro
dei fratelli nella Compagnia Molinari , il "Teatro Umoristico "
ha un breve debutto al Teatro Nuovo di Napoli ; nell'estate
del '31 riformata la compagnia recitano al Teatro Palazzo di
Montecatini .Dopo questi primi timidi tentativi il vero e proprio
debutto della Compagnia Teatro Umoristico "I De Filippo" avviene a Napoli il 25 dicembre 1931 con " Natale in casa Cupiello " , al Teatro Kursaal. Ottennero a Napoli un successo pressoché immediato. Sostenuti dal successo passarono dal Sud a Nord richiamando sul loro nome e sulla loro arte l'attenzione di tutti i pubblici italiani. I tre fratelli rimasero insieme 13 anni e la loro inseparabilità divenne un mito.
La Compagnia durera' fino al 1944.

 

Ma ciò era destinato a finire. Venne il giorno della loro separazione che suscitò un grande rammarico. Eduardo era un
despota, aveva la pessima abitudine di trattare male tutti, Peppino compreso. La differenza di carattere e stilistica dei due fratelli li spinge a continui contrasti, tanto che arriva a litigare anche con Titina. Una sera, durante le prove di una commedia, Eduardo era particolarmente incollerito, non gli andava bene nulla. Interrompeva spesso Peppino villanamente, finchè Peppino si stancò di quei modi, davanti a tutta la compagnia, si alzò e gli gridò, col braccio alzato nel saluto fascista: "Duce! Duce!", e uscì dal palcoscenico.
Era il dieci Dicembre del 1944, al teatro Diana di Napoli e la compagnia "Il teatro Umoristico dei De Filippo" si scioglie, mettendo fine ad un lungo periodo fatto di contrasti, incomprensioni e stili artistici differenti. Da lungo tempo ormai i due fratelli camminavano su binari artistici differenti, e probabilmente all'origine dei loro dissidi c'era proprio la nuova concezione eduardiana del teatro. Eduardo elabora una forma di umorismo più costruito, che mostra la parte amara della risata, che s'immerge nel quotidiano da cui prende spunto. Peppino, invece, che aveva fondamentalmente il temperamento del comico, scelse la via della caricatura assoluta, dell'improvvisazione. Una comicità meno amara e più semplice e diretta. Si venne a creare così un vero e proprio solco nel modo di concepire il teatro stesso.
Il dissidio tra i due De Filippo, appena addolcito dalla mediazione di Titina, dura per molti anni, anche a causa del carattere duro ed autoritario di Eduardo. I due si rividero solo dopo molti anni e precisamente due giorni prima della scomparsa di Peppino, nel 1980.
Di questa situazione è testimonianza uno scambio di lettere conservate al Gabinetto Vieusseux di Firenze. (Due di esse sono qui riprodotte*). I loro toni rivelano i caratteri di Peppino e di Eduardo. Peppino cerca di intenerire, chiama in causa i sentimenti, la famiglia... E' glaciale, Eduardo, la sua e' una furia fredda, il senso di un’offesa profonda recata alla sua arte oltre che alla maggiore età che lo responsabilizza, fino alla tirannia, nei confronti del fratello più giovane.


 

"Ogni minuto muore un imbecille e ne nascono due"
Eduardo

Sui motivi contingenti della rottura Eduardo non si pronuncio' mai ufficialmente. Secondo la ricostruzione fatta dalla moglie Isabella nel libro Eduardo. Polemiche, pensieri, pagine inedite (IQDF 1985, pp. 42-5), alla base del litigio ci sarebbe stata la convinzione, da parte di Eduardo, che il fratello avesse intrattenuto trattative segrete per farsi scritturare dall'impresario Remigio Paone per uno spettacolo di rivista.
Delle ragioni artistiche che portarono alla separazione, Eduardo parlò invece in occasione di una conferenza tenuta nel 1981 al Teatro Ateneo di Roma:
"Peppino era eminentemente comico, mentre io non avevo questa sola prerogativa da imporre. Avevo la natura di attore che portava in scena la realtà e la volevo approfondire. Ma con Peppino e Titina, come autore, dovevo sottomettermi alla loro personalità di attori, tanto più che la compagnia aveva avuto successo e sarebbe stato un peccato disgregarla dopo poco tempo. Andai avanti scrivendo ruoli per Peppino, per Titina e il ruolo per me, fino alla guerra, quando non mi fu più possibile ignorare la realtà che era tanto cambiata per tutti [...]. (SUR 1981, p.13)

 

"Ogni minuto muore un imbecille e ne nascono due"
Eduardo



Il teatro napoletano e' una delle piu' antiche e conosciute tradizioni artistiche della citta'
di Napoli, e il suo contributo al teatro italiano e' fondamentale. Le prime tracce di questa
tradizione risalgono all'opera poetica di Jacopo Sannazaro che tra la fine del Quattrocento
e gli inizi del Cinquecento recitava le sue farse alla corte angioina prima, aragonese poi. A livello
popolare famoso in questo periodo e' il Velardiniello, cantastorie di strada. Tra la fine dell'Ottocento e l'intero Novecento, il susseguirsi di due straordinarie generazioni di drammaturghi (Scarpetta, Di Giacomo, Bracco, Viviani, Eduardo) ha posto all'attenzione della cultura e del pubblico la singolare altezza drammaturgica del teatro napoletano. Il teatro napoletano pre-Novecento fu sostanzialmente legato alla maschera di Pulcinella. Pulcinella e' un personaggio che rappresenta da sempre il modo tutto napoletano di vedere il mondo, e' un personaggio di umile rango sociale che grazie alla sua furbizia e alla sua arte dell'arrangiamento riesce in qualche modo ad averla sempre vinta. Come affermò Benedetto Croce, Pulcinella piu' che una maschera fissa è una maschera il cui carattere e' stato plasmato dai numerosi attori che l'hanno interpretata, l'hanno utilizzata come strumento di satira e critica politica. Metaforicamente quindi la maschera simboleggia la plebe napoletana che stanca degli abusi e delle umiliazioni ricevute dalla cinica classe alto media borghese, si ribella a questi disumani potenti, che hanno fatto di tutto per rendere nel corso dei secoli una vita dura e avversa al popolo partenopeo. Quindi Pulcinella essendo l’anima del popolo minuto rispecchia la voglia di rivincita di quest’ultimo. Importante per il teatro napoletano e' il modo in cui Pulcinella viene 'rielaborato' a partire dall'Ottocento. L'ultimo e forse il piu' grande interprete di Pulcinella fu infatti Antonio Petito (1822-1876), che trasformo' il personaggio di servo sciocco nel cittadino napoletano per antonomasia, furbo e burlonesco, modernizzandolo e permettendone cosi' la sua trasformazione ad opera di Eduardo Scarpetta. Egli ebbe il compito di impersonare nella compagnia di Petito il personaggio di Felice Sciosciammocca, supporter comico di Pulcinella. Alla morte di Petito, e con la scomparsa del personaggio di Pulcinella, Scarpetta si fece interprete del cambiamento di gusti nel pubblico napoletano. Il teatro napoletano non era piu' "teatro di maschera" ma teatro di "carattere". Scarpetta quindi elimino' quindi definitivamente la maschera ormai obsoleta introducendo personaggi della borghesia cittadina che mantenessero pero' immutati i caratteri farseschi della tradizione. Sciosciammocca indossa un cilindro in testa, un abito a quadretti, il papillon, il bastone da passeggio, le scarpe lucide e usa un linguaggio imborghesito da 'cocco di mamma''.Le sue commedie su Felice Sciosciammocca ottennero un enorme successo a Napoli (Scarpetta si arricchi' oltre ogni immaginazione) e aprirono la strada al successo dei fratelli De Filippo.

 

'Napule è ’nu paese curioso:'
'e' 'nu teatro antico,
sempre apierto.
Ce nasce gente ca senza cuncierto
scenne p' 'e strate e sape recita'.
Nunn’�?c' 'o ffanno apposta;
ma pe'lloro 'o panurama è 'na scenografia, 'o popolo e' 'na bella cumpagnia, l'elettricista e' Dio ch' 'e fa campa'..


"Il teatro è qualche cosa
di magico che il pubblico
non deve sapere"
Eduardo

Il teatro di Eduardo spazia su cinquant'anni di storia
italiana (1920-1973), attraverso una serie di protagonisti nei quali
si riflette lo stesso autore. Eduardo sa che il mondo e' il luogo dove l'errore umano maggiormente si esplica, dove la verita' viene facilmente offesa; da questo mondo egli ha tratto il suo repertorio, l'umor comico, che spesso si trasforma in accusa e in invettiva. Dinanzi alle colpe, agli errori, all'ingiustizia, Eduardo assume un atteggiamento di denuncia con mezzi ora tipicamente teatrali (la magia, il gioco, il trucco), ora con un'analisi approfondita dei caratteri e quindi dei personaggi che ne sono invischiati. La vita, per Eduardo, cambia continuamente volto; è necessario, quindi, adattarsi alle sue trasformazioni, che sono sempre contemporanee all'uomo. Proprio l'uso di questa contemporaneità e il modo di trasferirla sulla scena, hanno sempre reso attuale e `rivoluzionario' il suo teatro.

 


O rraù ca me piace a me
m' 'o ffaceva sulo mamma'.
A che m'aggio spusato a te,
ne parlammo pe' ne parla'.
Io nun sogno difficultuso;
ma luvamell' 'a miezo st'uso.
Sì, va buono: cumme vuo' tu.
Mo' ce avèssem' appicceca'?
Tu che dice? Chest'e' rrau'?
E io m'a 'o mmagno pe' m' 'o mangia'...
M' 'a faje dicere na parola?
Chesta e' carne c' 'a pummarola.

 

 

Dint' 'a butteglia
n'atu rito 'e vino
è rimasto�#10;Embe'
che fa
m' 'o guardo?
M' 'o tengo mente
e d...

Titina era la prima dei tre figli nati dalla relazione di Luisa De Filippo con Eduardo Scarpetta, che erano definiti "i figli del bottone", in quanto la madre era la sarta della compagnia del grande commediografo napoletano, nonchè nipote di sua moglie Rosa De Filippo, che conosceva e tollerava questa famiglia parallela del proprio marito. Essendo la primogenita e quindi la prediletta, Titina da piccola studiò musica frequentò una scuola gestita da monache e imparò il francese. Ma nata e cresciuta fra gente di teatro, è destinata a diventare attrice. Il palcoscenico esercita su di lei un fascino talmente irresistibile da spingerla ad improvvisare recite nella camera da letto della madre, davanti allo specchio di un grande armadio di noce intagliato e al fratellino Eduardo. A tredici anni Titina scoprì di essere anche figlia d'arte, cosa che la invogliò maggiormente a continuare su questa strada.
Titina era grande, era immensa, unica. Titina, che si rifaceva a tutti i più grandi modelli di attrici, ha rappresentato l'esplosione della rabbia della piccola borghesia, quella destinata alla giornaliera sopravvivenza, quella della Napoli che soffre, che lotta. La sua recitazione scevra da ogni artificio, la grande poesia del suo volto, della sua voce, l'hanno fatta assurgere a modello a cui rifarsi, a cui tendere. Titina sapeva calarsi,come pochi, nei personaggi di cui vestiva i panni sapeva viverne i momenti magici e al contempo palpitarne le emozioni; fu indefinibile la sua interpretazione di Filomena Marturano ed ecco le sue stupende parole a spiegarne il successo: "Commuovere la platea senza ricorrere al mestiere ed a lenocini, arrivare alla semplicità, alla umanità drammatica e bruciante, senza artificio ma con una dignitosa, aristocratica linea d'artista é cosa estremamente difficile, che esige enormi fatiche e grandi rinunce: ed io non so se ci sono riuscita. Un artista cosciente non può dire di avere interpretato un personaggio, se non lo sente nel sangue nei pori, nella pelle, se non respira del suo stesso respiro, se non parla con la sua voce, se non piange con le sue lagrime". Titina De Filippo era la donna della mediazione familiare, attrice poliedrica, affascinante, severissima nel lavoro. Come del resto lo erano anche Eduardo e Peppino.
Attrice di gran talento fece parte di moltissime compagnie di sceneggiate, comiche e drammatiche. Oltre che in teatro, la Grande Titina lavorò moltissimo in televisione e nel cinema. Anche nel cinema, prima con i fratelli e poi con il grande Totò, seppe far valere tutta la sua bravura artistica, godendo dei favori del pubblico e della critica. Va ricordato che Titina, oltre ad essere impareggiabile attrice, fu anche autrice di soggetti cinematografici, di commedie, alcune delle quali scritte con Peppino, fu sceneggiatrice cinematografica e scrisse anche delle poesie molto belle.
Da tempo sofferente di una malattia al cuore, si ritirò definitivamente dalle scene nel 1961. Si dedicò allora alla pittura di quadri collage di carta e alla poesia. Morì il 26 dicembre del 1965.
Il comune di Roma dove l'attrice viveva in via Archimede le ha intitolato una strada, mentre Vittorio De Sica le dedicò nei titoli di testa il film "Matrimonio all'italiana", trasposizione di Filumena Marturano.



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 Message 19 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/29/2008 12:03 AM
 
 

Io vulesse truva' pace;
ma na pace senza morte.
Una, 'mmiez' a tanta porte,
s'arapesse pe' campa'!

S'arapesse na matina,
na matin''e primmavera,
arrivasse fin''a sera
senza di': "nzerrate lla'!

Senza sentere cchiu' 'a ggente
ca te dice: "io faccio...io dico,
senza sentere l'amico
ca te vene a cunziglia'

Senza sentere 'a famiglia
ca te dice:Ma ch'he fatto?
senza scennere cchiu' a patto
cu' 'a cuscienza e 'a dignita'.

Senza leggere 'o giurnale
'a nutizia 'mprussiunante,
ch'e' nu guaio pe' tutte quante
e nun tiene che ce fa.

Senza sentere 'o duttore
ca te spiega 'a malatia
'a ricetta in farmacia
l'onorario ch'he 'a pava'

Senza sentere stu core
ca te parla 'e Cuncettina
Rita,Brigida,Nannina...
chesta si'...chell'ata no.

Pecche' insomma si vuo' pace
e nun sentere cchiu' niente
'e 'a spera' ca sulamente
ven' 'a morte a te piglia'?
Io vulesse truva' pace
ma na pace senza morte.
Una,'mmiez'a tanta porte
s'arapesse pe' campa'
S'arapesse na matina
na matina 'e primmavera
e arrivasse fin'a sera
senza di' "nzerrate la'!"

Eduardo De Filippo '48

ascolta Eduardo

 

 

 

 

 

 

 


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 Message 20 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/29/2008 12:04 AM

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 Message 21 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/29/2008 12:31 AM

 

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 Message 22 of 22 in Discussion 
From: MSN Nickname©Nonna_AngelaSent: 9/29/2008 12:39 AM


Palazzo di Capodimonte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Palazzo di Capodimonte è stato fatto edificare subito dopo la creazione del parco, da Carlo III di Borbone, quale sede delle collezioni farnesiane da lui ereditate dalla Madre Elisabetta Farnese.
Il disegno è di Giovanni Antonio Medrano, ma l'edificio fu compiuto solo nel 1839.
Il Museo vi ebbe sede fino al 1806.
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