Acqua di mare amaro che esali nella notte: verso le eterne rotte il mio destino prepara. Mare che batti come un cuore stanco violentato dalla voglia atroce di un Essere insaziato che si strugge�?/FONT> *** Une femme qui passe Andava. La vita s'apriva agli occhi profondi e sereni? Andava lasciando un mistero di sogni avverati ch'è folle sognare per noi. Solenne ed assorto il ritmo del passo scandeva il suo sogno solenne ritmico assorto. Passò. Di tra il chiasso di carri balzanti e tonanti serena è sparita. Il cuore or la segue per una via infinita per dove da canto a l'amore fiorisce l'idea. Ma pallido cerchia la vita un lontano orizzonte. La sera di fiera II cuore stasera mi disse: non sai? La rosabruna incantevole dorata da una chioma bionda: e dagli occhi lucenti e bruni colei che di grazia imperiale Incantava la rosea freschezza dei mattini: e tu seguivi nell'aria la fresca incarnazione di un mattutino sogno: e soleva vagare quando il sogno e il profumo velavano le stelle (Che tu amavi guardar dietro i cancelli Le stelle le pallide notturne): che soleva passare silenziosa e bianca come un volo di colombe Certo è morta: non sai? Era la notte di fiera della perfida Babele Salente in fasci verso un cielo affastellato un paradiso di fiamma In lubrici fischi grotteschi E tintinnare d'angeliche campanelle E gridi e voci di prostitute E pantomime d'Ofelia Stillate dall'umile pianto delle lampade elettriche Una canzonetta volgaruccia era morta E mi aveva lasciato il cuore nel dolore E me ne andavo errando senz'amore Lasciando il cuore mio di porta in porta: Con Lei che non e nata eppure è morta E mi ha lasciato il cuore senz'amore: Eppure il cuore porta nel dolore: Lasciando il cuore mio di porta in porta. *** Firenze (Canti Orfici) Entro dei ponti tuoi multicolori L'Arno presago quietamente arena E in riflessi tranquilli frange appena Archi severi tra sfiorir di fiori Azzurro l'arco dell'intercolonno trema rigato tra i palazzi eccelsi: Candide righe nell'azzurro: persi voli: su bianca gioventù in colonne. *** Donna Genovese Tu mi portasti un po' d'alga marina Nei tuoi capelli, ed un odor di vento, Che è corso di lontano e giunge grave D' ardore, era nel tuo corpo bronzino: - Oh la divina Semplicità delle tue forme snelle - Non amore non spasimo, un fantasma, Un'ombra della necessità che vaga Serena e ineluttabile per l'anima E la discioglie in gioia, in incanto serena Perché per l'infinito lo scirocco Se la possa portare. Come è piccolo il mondo e leggero nelle tue mani! *** Sul più illustre paesaggio Ha passeggiato il ricordo Col vostro passo di pantera Sul più illustre paesaggio Il vostro passo di velluto E il vostro sguardo di vergine violata Il vostro passo silenzioso come il ricordo Affacciata al parapetto Sull'acqua corrente I vostri occhi forti di luce. *
«Vi amai per la città dove per sole strade si posa il passo illanguidito dove una pace tenera che piove a sera il cuore non sazio e non pentito volge a un’ambigua primavera in viole lontane sopra il cielo impallidito». * In un momento Sono sfiorite le rose I petali caduti Perché io non potevo dimenticare le rose Le cercavamo insieme Abbiamo trovato delle rose Erano le sue rose erano le mie rose Questo viaggio chiamavamo amore Col nostro sangue e colle nostre lacrime facevamo le rose Che brillavano un momento al sole del mattino Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi Le rose che non erano le nostre rose Le mie rose le sue rose P.S. E così dimenticammo le rose. - 1917 Dino Campana era nato a Marradi, presso Faenza, il 20 agosto del 1885, da una famiglia d'estrazione piccolo borghese. Dopo il liceo, terminato faticosamente, si iscrisse alla facoltà di chimica dell’Università di Bologna, ma, come più tardi dichiarò, non comprese mai nulla dell’astruso formulario scientifico. E fu proprio a Bologna che uno psichiatra, per i sintomi palesati, definiti “nevrastenia�?dallo stesso poeta, gli diagnosticò “una forma psichica a base di esaltazione�? per la quale prescriveva riposo intellettuale, isolamento affettivo e morale e l’uso di bromuro, e che il poeta venne ripetutamente internato in manicomio. Manifestazione del suo disagio era soprattutto l’irrequietezza, che lo portava spesso a viaggiare come un nomade, incapace di collocarsi in un luogo preciso e di relazionarsi socialmente in modo stabile; per questo fu in Argentina, in Ucraina, e poi girovago per l’Italia, esercitando i mestieri più disparati, come il pianista, il poliziotto, il pompiere, il fabbro, l’operaio, economicamente sostenuto anche dalla famiglia. Nell’estate del 1914 esplose la passione per Sibilla Aleramo, trasformatasi poi da “un viaggio chiamato amore�?in vero e proprio calvario. La prima volta che le scrisse, attratto dalla donna, e lusingato dal fatto che una scrittrice famosa s’interessasse a lui, un solitario e squattrinato dalla vita simile a quella d’un barbone, e che fino ad allora aveva avuto solo la compagnia di donne di malaffare, Dino le disse: “Non mi parli del suo impegno sociale, non mi racconti del socialismo. Mi interessa lei. La passione e niente altro, tutto il resto è fuori, tutto il resto viene dopo, non importa quando�? Affascinata dalle prime lettere scambiate con lui, Sibilla andò da Dino, da “Cloche�? come talvolta amava firmarsi. Lei era bellissima, con il volto ovale, i capelli biondi, la bocca sensuale; lui aveva i capelli tra il biondo e il rosso, la pelle rosea, i baffi spioventi su labbra carnose, gli occhi cangianti: la scintilla scoccò all’istante e immediata fu tra loro anche la passione fisica. La vicenda d’amore si snodò fra alti e bassi, fra la fitta corrispondenza, i silenzi di lui, gli allontanamenti ora dell’uno ora dell’altro, le liti, le riappacificazioni, il peggioramento dei disturbi nervosi, le suppliche di entrambi per una riconciliazione, gli arresti di Dino continuamente scambiato per un tedesco, fino all’ultimo fermo, quello che lo condusse nel manicomio di San Salvi. Fu Sibilla a troncare la relazione con Dino, romantico, fragile, ma anche violento, geloso del passato che lei non gli nascondeva, e instabile (nella stessa giornata scriveva �?Cara signora, spero che lei abbia capito che tra noi è finita�?e poi, tre ore dopo, ”Amore mio, mi manchi, ti prego, vieni da me�? e pervaso da una carica autodistruttiva alla quale lei, ansiosa di vivere, non volle mai piegarsi. Fu davanti al cancello del manicomio che terminò definitivamente il doloroso viaggio chiamato amore. Scrisse Sibilla: “L’ho riveduto così, dopo nove mesi, attraverso una doppia grata a maglia. Non ero mai entrata in una prigione. E�?stato un colloquio di mezz’ora, i carcerieri avevan quasi l’aria di patire sentendo lui singhiozzare e vedendo me irrigidita�? Scrisse Dino: �?Mi lasci qua nelle mani dei cani senza una parola e sai quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più lagrime.Perché togliermi anche l’illusione che una volta tu mi abbia amato è l’ultimo male che mi puoi fare�? Sibilla era stata il primo ed unico amore di Dino, ma anche lei lo aveva molto amato; su quell'amore la scrittrice non riuscì mai a scrivere un solo rigo, tanto grandi erano state le emozioni fra loro, e la testimonianza di quella passione restò affidata tutta al carteggio. Dino Campana morì il 1° marzo del 1932 nell’Ospedale psichiatrico di Castel Pulci, dov�?era stato internato 15 anni prima, a quarantasette anni, probabilmente per setticemia causata dal ferimento con un filo spinato durante un tentativo di fuga. | | | | | | | | | | | | | | | | | ...forse voi non sapete che quando il primo bambino ha riso per la prima volta, la sua risata si e' spezzata in mille frammenti che si sono persi nel cielo. Così sono nate le fate!!! -da Peter Pan di James M.Barrie- Fate, smettete le vostre canzoni, e le mie bianche campane ascoltate: voi li sentite, quei suoni lontani? E quel che dicono, voi lo sapete? Sono campane di neve che spuntano dai loro gambi, e dolci suonano: parlano forse di quel paese dove ogni cosa è bella e cortese? Cicely Mary Barker The song of the Lily of the Valley Fairy La danza delle fate
Notte di luna piena.
Il bosco risplende di un'aerea fosforescenza.
Avanzano le fate verso il centro del Cerchio in sincronia, avvolte dai riflessi delle stelle sulle loro ali.
Una nota di flauto rompe il silenzio, colpi sordi di tamburi le fate alzano le mani al cielo piano inizia il loro ballo in onde flessuose i loro piccoli corpi si muovono al ritmo di suoni dimenticati; battono i piedi leggeri sull'erba, passi cadenzati per la Danza delle Fate.
Volano in alto i nostri cuori nostra è la vita e nostro l'amore nulla ci tocca per più di un respiro viviamo al limite dell'umana follia.
Sogni, desideri, indecenti languori scateniamo nei cuori di uomini e dei.
Nostre le fronde del bosco di notte nessuna di noi sa cosa è tristezza viviamo prive di ogni saggezza allegria e risate la nostra salvezza.
A noi nulla e nessuno comanda libertà è la nostra filosofia della ragione non seguiamo la via ora piangiamo, ora ridiamo viviamo ogni istante della vita come fosse l'ultimo o l'eternità.
Uniamo gli opposti, disfiamo le trame, balliamo e giochiamo da notte a mattina.
Le braccia, le gambe in un ritmo sfrenato, per noi primavera è sempre vicina.
Festeggiamo ogni istante non fa differenza buona o cattiva questa è la vita.
I fianchi, la testa, i nostri capelli onde di un mare, mare fatato.
Sappiamo anche noi cos'è la tristezza l'angoscia, la morte, il desiderio, la pazzia; ma tutto finisce e tutto ritorna ogni pensiero arriva lontano.
Voliamo incontro alla madre Luna e al mattino padre Sole sarà la nostra meta.
Ogni rimpianto, ogni rimorso dalla nostra anima viene lavato via.
Perché noi sappiamo volare oltre il cielo e ancora più su nei sogni degli uomini nelle lacrime degli ultimi conosciamo segreti che mai voce ha rivelato i segreti del vostro cuore.
La musica si fa dolce la notte se ne va'.
La Danza finisce e torna il silenzio.
Per un attimo i nostri occhi s'incontrano non è difficile leggere nei cuori altrui difficile è toccarli, quei cuori, perché spesso sono chiusi.
Pensieri profondi?
Lungi da noi che nessuno sappia che noi fate ne siamo capaci.
Nel bosco torna il silenzio.
L'alba è ormai prossima. Anonimo Per monti e burroni, per siepi e giardini, tra fiori e tra spini, tra flutti e tra tuoni, più lieve d'un raggio del sole di maggio volando viaggio al comando della divina che delle Fate è la regina.
D'una primula dorata nella campanula fatata troverò nascosta la stilla incantata. Shakespeare da -Sogno di una notte di mezza estate- Brezza sottile, che aumenta e si trasforma in vento, in tempesta, ti assale, ti avvolge ti risucchia in un vortice... Stordisce, inebria e si allontana tremula per poi tornare più forte e impetuosa e quando svanisce ti lascia stordita, stanca e felice. Anonimo Terra di fate
Valli di nebbia, fiumi tenebrosi e boschi che somigliano alle nuvole: poi che tutto è coperto dalle lacrime nessuno può distinguerne le forme. Enormi lune sorgono e tramontano ancora, ancora, ancora ... in ogni istante della notte inquiete, in un mutare incessante di luogo. E così spengono la luce delle stelle col sospiro del loro volto pallido. Poi viene mezzanotte sul quadrante lunare ed una più sottile delle altre (di una specie che dopo lunghe prove fu giudicata la migliore) scende giù, sempre giù, ancora giù, fin quando il suo centro si posa sulla cima di una montagna, come una corona, mentre l'immensa superficie, simile a un arazzo, s'adagia sui castelli e sui borghi (dovunque essi si trovino) e si distende su strane foreste, sulle ali dei fantasmi, sopra il mare, sulle cose che dormono e un immenso labirinto di luce le ricopre. Allora si fa profonda - profonda! - la passione del sonno in ogni cosa. Al mattino, nell'ora del risveglio, il velo della luna si distende lungo i cieli in tempesta e, come tutte le cose, rassomiglia ad un giallo albatro. Ma quella luna non è più la stessa: più non sembra una tenda stravagante. A poco a poco i suoi esili atomi si disciolgono in pioggia: le farfalle che dalla terra salgono a cercare ansiose il cielo e subito discendono (creature insoddisfatte!) ce ne portano solo una goccia sulle ali tremanti. Edgar Allan Poe | | | | | |
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