Per curiosità, appunti di quella Roma imperiale che fece nascere e cullò in Ariminum ed in questo lembo di Bassa Romagna, l'arte culinaria che ancora in parte qui si conserva Dedicato ad Apicio*, de re coquinaria è un classico della letteratura gastronomica, composto da dieci volumi, con circa 500 ricette originali, ahimé sottoposto a continui rifacimenti, passando attraverso le ripetute trascrizioni eseguite dai monaci di numerosi conventi Europei.
Sebbene con il termine unico di "Apicio"* si sogliono identificare tre differenti persone vissute in epoche diverse, il Marco Gavio Apicio (I° sec. d.C.), di cui ai commenti che seguono, non potè godere al suo tempo di magnanima fama. Seneca, ad esempio, apostrofa così questo ricco patrizio, gaudente, raffinato gastronomo e maestro di arti culinarie vissuto, pare, nella Roma dell’Età imperiale: “Che ne è stato della nostra Roma, ove si impone ai filosofi di lasciare la città perché sospettati di corrompere i giovani, proprio mentre questo Apicio ha trasformato in professione la scienza culinaria ed ha corrotto con la sua dottrina un’intera epoca?�?EM> (Seneca) Diventato ben presto modello di stravaganze e lussi per i ceti sociali elevati dell’antica Roma, non stupisce che per gli intellettuali Apicio diventasse invece un bersaglio ideale. All'epoca, gaceva specie che i giovani romani, anziché frequentare le lezioni di filosofi e rétori, facessero a gara per essere ammessi alle scuole di cucina. E infatti:
“Essi stavano a guardare con occhi infuocati e bocca spalancata, lanciando violente grida di gioia in mezzo al borbottio ed al ribollire delle salse che gorgogliavano sul fuoco�?(Clemente Alessandrino).
Altre due testimonianze lapidarie su Apicio, si devono rispettivamente a Plinio ed a Seneca. Eccole: “il suo metodo di ingrassare i maiali con i fichi secchi e di far loro bere piccole quantità di mosto dolce prima di macellarli, avendo il fine di ricavarne un fegato particolarmente saporito, lo fa ritenere il più grande scialacquatore di tutti i tempi..."(Plinio)
“merita di essere citata la sua fine. Dopo aver speso per la cucina cento milioni di sesterzi, dopo aver dilapidato in gozzoviglie tanti regali dell’imperatore Tiberio, arrivò un momento in cui fu costretto a fare il bilancio dei suoi averi. Dai conteggi risultò che non gli erano rimasti che dieci milioni di sesterzi. E così, come se con il suo patrimonio residuo, si vedesse costretto a vivere nella fame più nera, decise di porre fine alla propria vita con il veleno!�?/STRONG> (Seneca)
divagando: chissà se la frase "mangiarsi il capitale" trae origine proprio da questa storia di Apicio Sea Angel |