PARLO A CHI DICE: "NON SO"
Non so chi o che cosa mi abbia guidato in Chiesa nel giorno della commozione dei defunti. Per me non è consuetudine frequentare la Casa delle Case, nemmeno una cosa ovvia. Chi mi conosce bene lo sa. Sa che non fingo di credere, perché so di non sapere e dunque non posso affermare. E nemmeno escludere. E non vesto per comodità i panni del devoto né quelli dell’agnostico, né vado dove tira il vento. E�?dunque difficile avventurarmi nei meandri dell’inconoscibile, che per chi crede è il Dio di tutti, il Misericordioso, Colui da cui tutto parte e a cui tutto riconduce.
Il Mistero però è sempre dietro l’angolo, saltella sulle nostre spalle, ci si para davanti per farsi palese, chiedendoci di riconoscere cosa muova e a cosa serva la nostra esistenza. Ma siamo sempre troppo indaffarati per accorgerci dei richiami o delle chiamate. Parlo per me, ovviamente. Ho sempre dubitato delle frasi fatte, così pure degli slogan come degli annunci che dai Pulpiti lungo il tempo sono stati pronunciati per darci facili motivazioni da pronunciare per renderci volta a volta più sereni o più docili. Talvolta affinché pensassimo di meno e obbedissimo di più. In questo caso e in questo luogo, obbedire a cosa, a chi? Capita che non sappiamo ascoltare, né dare nome e tanto meno origine al pianto che a volte scaturisce dalla nostra fonte più profonda. Cosa avviene a da dove proviene quel qualcosa che toccandoci fa vibrare emozioni e corde di sentimenti inascoltati, riposti, disattesi, rinviati da tanto, troppo tempo. E allora misuri chi sei se appena riesci a rivedere un lontano passato nei tuoi antenati, di cui hai saputo cenni di vite sofferte e donate e spezzate. E la più evidente eredità che ti hanno lasciato è un cammino in salita. Come quello di mio nonno, comandato in prima linea, all’assalto alla baionetta e morto per la Patria nella zona di Gorizia, che oggi trova sintetizzati nei soli nomi e cognomi migliaia di esistenze scolpite nel sacrario militare di Oslavia. Ma sarebbe lo stesso se fosse ricordato tra i tanti militi noti o ignoti di Redipuglia, del Monte Grappa, del Pasubio, di Asiago, del Montello, di Caporetto o altrove.
Il programma parrocchiale della giornata prevede la deposizione della corona alla lapide dei caduti, dopo una breve processione fino al Centro Civico di Villa. Che senso avrebbe che ci andassi anche io? �?pensai. Perché anche una semplice lapide può ricordarti di essere una immigrata, una straniera qua, anche se non extracomunitaria. E farti interrogare su dove andranno a pregare i loro morti tutti gli stranieri che oggi si spostano in massa da un territorio all’altro, se non possono immaginarli in cielo, in un luogo raggiungibile col pensiero per rendere omaggio ed unirsi a loro per un attimo. Intanto so di avere registrato nel cuore e nei solchi della pelle molta parte della storia del secolo scorso. Di quei morti, come mio nonno Primo, cosa resta davvero? Spero che sia per molti, come per me, non solo un nome inciso da qualche parte. Quello di mio nonno è anche su un cippo nel suo paese natale dove le lettere dilavate dalle intemperie compongono una lunga lista di militi periti tra il 1915 e il 1918. Ma non solo nella Prima Guerra Mondiale. Anche lì c’�?la traccia di un destino insensato, ma lì c’�?anche il ricordo di un pezzetto di quel che è stato ed è con me, dentro di me. Con tutti i valori che da quel giovane uomo mi sono ugualmente giunti attraverso il racconto familiare: dedizione, rigore, obbedienza, pazienza, osservanza, diligenza, speranza, umiltà di fronte alla morte, accettazione del destino che ci è riservato o scelta di lasciarsi sopraffare piuttosto di farsi lupo ad altri. Naturalmente questo ricordo porta in sé anche un lascito fatto di illusioni e di debolezze, come quella piccola raccolta di orologi da taschino, eccezionale concessione della povertà dell’epoca a quel giovane soldato che li spedisce dalla trincea perchè sa che l’indomani andrà a morire. Come non piangere quasi cento anni dopo, quel ragazzo che lasciava orfana una famiglia numerosa e si separava da un patrimonio di affetti e di coscienze da formare. Forgiate, poi, dalla vita.
E così ho pianto per tutta la sua discendenza anch’essa oggi già scomparsa; e per tutti i morti, in divisa oppure in borghese, che hanno lasciato l’esistenza in nome di un ideale e sono periti in modo cruento, al comando di altri uomini, in divisa o non. E�?come se durante la funzione la Misericordia fosse venuta a trovarmi, schizzandomi in faccia dell’acqua gelata per destare qualcosa di vero e non mere e vuote parole di tolleranza, di pace, d’amore. Venuta a stuzzicarmi per attivare o risvegliare tutto ciò che poteva essersi assopito. Perché capita che coltri spesse come corazze possano disumanizzarci mentre ci dedichiamo totalmente alle cose quotidiane, alle necessità, al tran tran, prigionieri spesso di viltà e meschinerie di cui tutti prima o poi, in grande o in piccolo, siamo capaci. E così ho pianto i morti passati che mi appartengono e che ci appartengono, quelli che stanno per partire per questo viaggio crudele o liberatorio, quelli che �?me compresa �?dovranno prepararsi a compiere.
E allora sono tornata a ripensare a dove possono andare tutti gli stranieri che si spostano da un continente all’altro a piangere o a commemorare i propri morti come pezzi del proprio valore universale. Ecco la parola che mi ha illuminato ed acquietato. Il sentimento che ci accompagna nel nostro divenire e che non ci neghiamo, non può che condurre ciascuno di noi verso una universalità che tutti accoglie e livella. Come la Morte. Un attimo per il trapasso e possiamo pensare, oggi, all’Infinito che potrebbe essere. E se il nostro innato egoismo permane irriducibile saremo noi stessi la causa del nostro incedere commiserevole di poverini. Forse adesso posso capire cosa intendesse dire Cristo che dei poveri sarà il regno dei cieli. Sì, capisco ora che sono poverini i poverini di spirito, ai quali non mi va di somigliare. Neanche un po�? Forse non è necessario per capire e vivere bene la Vita e la Morte, che io sappia o no di credere, che io dica di avere o no Fede in un Dio, il mio, il Vostro, quello di altri popoli, in Suo Figlio, e in altre figure sacre che la religione e la cultura del mio e nostro paese sempre più a fatica cercano di spiegarci. Perché c’�?qualcosa nell’aria che ci viene incontro. E ci tocca. Prima o Poi. Sia essa una commozione che arriva improvvisa, inaspettata, vibrante. Potente.
Da qui, dalla Chiesa che mi accoglie comunque per quel che sono, mentre parlo di cose che non so a chi dice che non sa, abbraccio a tutti i parenti di ieri, di oggi e di domani dei morti italiani e stranieri, di questo globo e di altri mondi, nella speranza che possano sentire, provare, avvertire cos’�?l’Amore palpitante, conservarlo dentro di sè e proteggerlo per adesso e per dopo.
(Clara Previato)