Lei aveva una trattoria in aperta campagna, ma non troppo lontano dalla statale, e così, a mezzogiorno, i rappresentanti, i camionisti, e tutti coloro che si trovavano a passare da quelle parti, e che la conoscevano, si fermavano nel suo locale a mangiare. Nel pomeriggio i tavoli erano invece occupati dai soliti avventori storici che si scolavano profumate bottiglie di "Freisa" scannandosi per un maledetto settebello o per una primiera. D'estate, la domenica pomeriggio, sotto il pergolato di uva americana, si consumavano le "merende" con la piacevole sensazione dell'acqua della limpida roggia che scorreva a fianco. La Giovanna, in genere, non offriva molta scelta, ma per molti era ormai una consuetudine, verso il tramonto delle giornate festive, passare da lei a spiluccare qualche acino d'uva in attesa che servisse il suo "bagnetto". Il bagnetto, in effetti, è il termine dialettale con cui si intende la salsa verde nelle poche varianti concesse dalla tradizione piemontese. Lei tritava insieme il prezzemolo, un pezzetto di peperoncino e pochissimo aglio, la mollica di pane bagnata nell'aceto bianco, i filetti di alici sotto sale ben pulite e un bel pezzetto di tonno sott'olio, quindi il tutto in una ciotola con un extravergine a coprire il composto. Era una delizia quella salsa, nata per accompagnare i bolliti, gustata sulle uova sode tagliate a metà. Ci andavamo anche la sera tardi ogni tanto, ma solo in occasioni particolari. Quando, sempre d'estate, tiravamo tardi, seduti sulla panchina davanti al bar che ormai aveva chiuso, succedeva che il maresciallo dei carabinieri, mentre magari rientrava da un giro di perlustrazione, si fermasse con noi a chiacchierare, e così, se per caso passava anche il guardiacaccia, si formava un gruppetto che con il passare del tempo aveva trovato un buon affiatamento. Poi, ogni tanto, qualche lepre abbagliata dai fari restava uccisa da un automobilista, evento a cui noi naturalmente facevamo finta di credere, e allora, dopo qualche giorno, in genere al sabato sera, l'appuntamento era dalla Giovanna a cui il guardiacaccia aveva affidato per tempo lo "sfortunato" animale. Ricordo spesso il profumo di quei salmì e le bellissime serate che non finivano mai. Faceva parte di quella banda curiosa anche Don Giuseppe, il parroco di un paese vicino che era davvero un grande personaggio. Quando il maresciallo passava a prenderlo con la macchina di servizio per la rimpatriata, lui diceva alla perpetua che purtroppo per la cena si sarebbe sacrificato perché di cosa gravissima di trattava, ed era suo dovere andare anche a stomaco vuoto. Così, appunto, ogni tanto la Giovanna al sabato sera, verso le 22, 30, sbatteva fuori tutti dicendo che aveva l'emicrania, poi chiudeva tutto quanto e si sedeva con noi. Un tavolo da sette composto dal maresciallo, lei, don Giuseppe, il guardiacaccia, e un trio di giovanotti impertinenti formato da me e dai miei due amici più cari. La cosa bella di quelle serate consisteva nel fatto che un poco alla volta quelli più anziani tornavano ragazzi, come se rincorressero in modo certamente nostalgico la nostra gioventù almeno in quei momenti in cui tutte le barriere cadevano per lasciare posto solo al divertimento e al piacere di stare insieme. Don Giuseppe raggiungeva un po' alla volta la condizione ottimale attraverso un suo modo del tutto particolare. La Giovanna gli diceva ridendo che seguiva la: "dolorosa strada dei bottoni". Alla seconda bottiglia di ottimo Dolcetto, in genere, sbottonava almeno quattro o cinque bottoni della sua veste nera. Alla quarta, ormai, restava letteralmente in canottiera, con l'abito talare arrotolato sui fianchi, un po' come fanno certi meccanici d'estate, quando si liberano in quel modo dalla parte superiore della tuta. Una sera, anzi, per meglio dire una notte, forse erano le tre, ad un certo punto don Giuseppe, barcollando e rosso in viso, si alzò esclamando più o meno così: " Culunell l'è ura che anduma" Tradotto: " Colonnello ( quando era "arrivato" per lui il maresciallo diventava un colonnello) è ora che andiamo!" A quel punto tutti a dire che c'era tempo, che era ancora presto, e poi che la Giovanna aveva in serbo una bottiglia di "Brachetto" da sogno, ma lui niente, voleva andare, e a fronte delle nostre insistenze sbottò:" ug' avneiss in'assident! a' dmon mateina a set' uri haiò cul quater carampoini ant' tel bali, se a drom inveci che di è messa im' tran su e porta de gesia! ". Traduzione: " Gli venisse un accidenti! domani mattina alle sette ho quelle quattro carampane nelle palle, se dormo invece di dire messa mi buttano giù la porta della chiesa!" Erano serate così, forse fatte di nulla, ma per me indimenticabili. Un giorno la Giovanna ci invitò tutti quanti per il sabato successivo. Era strana la cosa perché nessuna lepre sfortunata era stata "investita". Aveva preparato una tavola elegantissima con un menù eccellente pescato dalla profonda tradizione delle mie parti, e che ricordo ancora perfettamente. Antipasti con alborelle in carpione e frittatine di asparagi selvatici. Un risotto al vino bianco con delicatissimi porri e gamberi di acqua dolce. Lumache sgusciate e appena lessate, passate nell'uovo e nel pane grattugiato e poi fritte. Filetti di trota al Cortese di Gavi con insalata di crescione e, per finire, un dolce straordinario che sapeva fare bagnando delle semplici gallette nel caffè e facendo poi vari strati ricoperti di marmellata di albicocche alternata con una specie di budino ottenuto con il cioccolato amaro. Alla fine, con un tono improvvisamente un po' triste, ci annunciò che entro una settimana avrebbe chiuso il locale. Ormai, dopo la morte del marito avvenuta diversi anni prima, si sentiva stanca e si sarebbe trasferita a Rapallo a fare la signora. Aveva voluto salutarci così per ringraziarci per i momenti che aveva passato con noi in quelle serate in cui si era sentita non tra avventori, ma tra amici. Poi io sono partito per vivere la mia avventura, il maresciallo trasferito chissà dove, gli amici presi dalle loro aspettative, don Giuseppe so che un giorno se ne è andato serenamente dove nessuna carampana bigotta gli romperà le scatole alle sette del mattino, o almeno spero, e il guardiacaccia, incredibile, l'ho incontrato qualche mese fa in un bar in autostrada. Lavora in una grande azienda occupandosi della sicurezza. Il locale c'è ancora ma ha cambiato funzione. Con l'apertura di una specie di tangenziale che passa accanto non è più fuori dal grande traffico, e lo hanno trasformato in pub come tanti. Non c'è più la fresca pergola di uva americana e la roggia limpida ora è coperta dal cemento, ma sono certo che se ci mettessi i piedi in quel luogo un po' di quel profumo del salmì della Giovanna lo sentirei ancora, non ho nessun dubbio, lo sentirei ancora…�?.