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Storie by Ultimo : Da Ultimometrò: il grande Michael (Petrucciani)
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(1 recommendation so far) Message 1 of 1 in Discussion 
From: MSN Nickname°_Sea_Angel_°  (Original Message)Sent: 1/31/2006 9:50 AM
Da: <NOBR>Soprannome MSNultimometrò2000</NOBR>  (Messaggio originale) Inviato: 27/01/2006 15.43
Ricordo che sono partito da Milano verso le otto di mattina con un vecchio ma affidabile maggiolone VW. Un paio di amici con me e tanta voglia di esserci. Avevamo tutto il tempo per affrontare il lungo viaggio con calma, per fermarci a mangiare e, perché no, per fare anche un po' di quel giovanile casino che oggi alla mia età rimpiango molto. Avevo ascoltato molte volte i dischi di quel musicista e conoscevo la sua immagine attraverso molte fotografie. Ero quindi preparato, o pensavo di esserlo, quando, accompagnato da un collaboratore, è salito su quel palco di "Umbria Jazz". No, invece no, non ero affatto preparato.
Un essere piccolissimo sorretto da arti inferiori contorti quanto la parte posteriore del busto. La testa grande, un po' inclinata e un viso atteggiato quasi in una smorfia perenne. E poi gli occhi, quegli occhi così grandi, così rassegnati e dolci, come se volessero scusarsi per l'eventuale fastidio provocato dalla sua presenza. Ho sentito un peso opprimente dentro di me, un peso diventato disagio quando l'ho visto, con enorme fatica, salire sullo sgabello per cercare una sistemazione davanti  alla tastiera del pianoforte che sembrava enorme, se raffrontata a quel piccolo essere sfortunato. Michael Petrucciani iniziò a suonare. Un po' alla volta il suo unico linguaggio musicale, che aveva richiamato tanta gente da tutta Italia, incominciò a prendere forma e,allo stesso tempo, la sua figura ai miei occhi si trasformava. Quella stessa tastiera che mi era sembrata enorme ora appariva troppo piccola rispetto alla forza espressiva che quel musicista sapeva far arrivare agli altri e che portava dentro di se. Non era più un piccolo uomo sfortunato ma un bellissimo gigante creativo che sfornava sonorità enormi, per qualità e massa di suono, con soluzioni sempre imprevedibili e geniali. I grandi brani che hanno fatto la storia del jazz rivivevano di una vita nuova e lui ci sorprendeva con quella  naturalezza e quella  facilità che solo i grandi musicisti  posseggono. Era bellissimo. Era, in quel momento, la musica che sapeva produrre e solo un'altra volta, in situazione completamente diversa, ho assistito a quella sorta di trasfigurazione. C'è una scena bellissima nel film "il pianista" di Roman Polanski" tratto da una storia vera. Szpilman, il protagonista, sta vivendo in una condizione ormai disumana. E' ridotto, dalle vicende che hanno martoriato gli ebrei di Varsavia durante la feroce occupazione nazista, allo stato di una larva senza prospettive. Incontra, tra le rovine della città, un ufficiale tedesco che lo invita a suonare un vecchio pianoforte miracolosamente risparmiato dalla guerra. Qui, se pur nella finzione cinematografica e in tutt'altro contesto, a mio parere, Polanski è stato bravissimo riuscendo a riproporre la stessa trasfigurazione. Quell'uomo senza ormai alcuna dignità, sporco, impaurito e disperato si è trasformato, da un poveraccio che solo pochi minuti prima cercava di aprire una scatola di cetrioli con la furia di un animale affamato, in un austero musicista sicuro ed elegantissimo, se pur nei suoi miseri abiti e nella sua misera condizione, nell'eseguire una delle pagine più significative tra le composizioni di Chopin. Quando recentemente ho rivisto quel film ho ricordato, ancora una volta, anche l'esperienza vissuta al concerto di Petrucciani e c'è una domanda che, forse stupidamente o banalmente, mi ritorna nei pensieri: La forza della musica può cambiare ciò che vediamo o, per contro, quella forza  a volte sa farci vedere le cose in modo diverso?
 


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