Dopo le prime aperture, nell'opinione pubblica di Francia e Germania è cominciato a emergere lo scetticismo.
Più che le condizioni di povertà del Paese, a spaventare è l'ingresso di 73 milioni di musulmani
Le nuove paure della Turchiaper l'Europa che si allontana ISTANBUL - Non dubitiamo che la Commissione possa appellarsi a fondate cause tecniche per sospendere il negoziato d'adesione con Ankara. Ma non una sola ragione politica giustifica quest'ulteriore umiliazione inflitta ad un Paese che è fondamentale agli interessi strategici dell'Europa ed ha già accumulato sufficienti motivi per ritenersi trattato ingiustamente. La Turchia, ricordiamolo, aveva atteso quarant'anni prima d'essere ammessa nell'anticamera dell'Europa. S'era vista superata da gran parte dell'Europa orientale, eppure aveva continuato ad aspettare, tenacemente, pazientemente.
Nell'ottobre del 2005, sia pure all'ultimo minuto e non senza evidenti perplessità, l'Unione europea aveva infine deciso di aprire un negoziato d'adesione che nelle prospettive più ottimiste non si sarebbe concluso prima del 2015. Un anno dopo, ecco il ripensamento della Commissione, che di fatto rispecchia non solo le difficoltà di quella trattativa, ma soprattutto lo scetticismo che monta in larghi settori dell'opinione pubblica europea. In Francia, in Germania, in Austria, cresce il partito che vorrebbe proporre ad Ankara di rinunciare all'ingresso nell'Unione in cambio d'una soluzione di ripiego, una vaga "partnership privilegiata".
Beninteso, l'ingresso della Turchia nell'Unione non è un affare da poco, non foss'altro perché i turchi sono 73 milioni, più di quanti siano gli abitanti degli ultimi dieci Paesi entrati nella Ue. Inoltre quei 73 milioni hanno standard medi di vita più bassi degli standard occidentali, la loro democrazia ci appare atipica, il loro stato di diritto lacunoso: ma non si può dire che la Romania sia messa meglio. Infine, i turchi sono musulmani, e questo impressiona molto le opinione pubbliche dell'Europa centrale. Anche perché - motivo di ulteriore allarme - in quella regione sta prendendo in piede il contagio del fondamentalismo islamico.
A fronte di tutto questo, la Turchia è la migliore democrazia finora prodotta dalle società islamiche, coltiva da secoli una proiezione europea, ha uno Stato laico, d'una laicità perfino arcigna. È un passaggio obbligato per le rotte dell'energia. È affacciata sullo scacchiere mediorientale. Ha l'acqua di cui è assetata la regione. E come ha ricordato il papa, è storicamente la cerniera tra l'Occidente e l'Oriente. Insomma rappresenta un alleato cruciale per un'Europa che voglia contare.
Eppure le stiamo sbattendo la porta in faccia. L'estate scorsa il rapporto d'un autorevole centro studi americano, il Brookings, pronosticava che un giorno forse non lontano la diplomazia occidentale avrebbe dovuto chiedersi: chi ha perso la Turchia? Chi di noi ha sciupato la colossale occasione che l'appassionato europeismo turco ci offriva? Si direbbe che quella previsione si stia avverando: stiamo perdendo la Turchia.
Stando ai sondaggi d'opinione da alcuni anni è in crescita costante la quota di turchi non vuole più saperne dell'Europa. Quanto alla domanda che potrebbe attendere in futuro i nostri diplomatici, chi perse la Turchia, potremmo rispondere fin d'ora: fu la classe dirigente occidentale, la sua sorprendente pochezza.
Molto è stato inflitto alla Turchia in questi mesi. Se adesso sfogliamo il libro delle doglianze che un giorno Ankara ci sbatterà sul tavolo, sorprende innanzitutto il nostro sistematico ricorso al doppio standard. Siamo soliti giudicare la Turchia con il metro che ci è più conveniente in quel momento, e che in genere non applichiamo mai a noi stessi. Così da secoli.
Nell'Ottocento eravamo scandalizzati dai massacri di cui si macchiavano le truppe ottomane nei Balcani, ma non vedevamo, né vediamo tuttora, i massacri che compivano i "nostri", i cristiani. Non solo col tempo non sia guariti da questa miopia, ma adesso la rendiamo obbligatoria. Come la Turchia tuttora non vuole riconoscere, durante la caotica guerra del 1913 la sinistra deportazione della popolazione armena si trasformò rapidamente in un genocidio spaventoso. Ma non meno spaventoso fu quel che era accaduto pochi mesi prima, il genocidio di turchi operato dalle bande armate nella grande provincia di Van. Ebbene, per effetto d'una proposta di legge in corso di approvazione, presto in Francia potrebbe accadere che sia vietato negare il genocidio degli armeni, ma sia legittimo negare il genocidio dei turchi.
Secondo Ankara un caso non meno sorprendente di doppio standard riguarda Cipro. L'isola è divisa non per colpa turca, ma perché la giunta militare greca organizzò una sollevazione tentando di occuparla. Ne seguì una guerra truce, in cui nessuno fu innocente, e la spartizione del territorio in due entità, una greca e una turca. In seguito le Nazioni Unite proposero alle due popolazioni di costituire una sorta di confederazione. Ma nel referendum indetto dall'Onu, solo i turco-ciprioti accettarono. I greco-ciprioti invece rifiutarono, e di lì a poco entrarono nell'Unione europea. Da allora usano legittimamente quella posizione di vantaggio per boicottare la concorrenza turco-cipriota, soprattutto nel turismo. A sua volta Ankara boicotta Cipro, rifiutandole l'accesso nei porti turchi. E questa è una delle ragioni per le quali la Commissione europea ha proposto di sospendere il negoziato d'accesso con la Turchia.
Infine la guerriglia curda. Nella singolare "guerra al terrorismo" che ha portato le armate americane in Iraq, nel nord del Paese è occorso qualcosa di ancor più singolare: benché considerato dalle polizie occidentali una banda terrorista, il Pkk curdo ha trovato un misterioso compromesso con le truppe statunitensi. Per almeno due anni non è stato infastidito, e anzi, secondo giornali turchi, nei suoi uffici capitavano emissari della Us Army. Negli ultimi mesi la situazione è cambiata ma la guerriglia turca continua a profittare delle sue postazioni irachene per lanciare attacchi mortali in Turchia, così sabotando il processo di pace che il governo dell'Akp, una versione islamica della Cdu tedesca, aveva faticosamente avviato. Pur disponendo degli strumenti militari per lanciare rappresaglie nel nord dell'Iraq, Ankara finora ha rinunciato. Ma il 2007 sarà un anno elettorale e l'Akp potrebbe essere spodestato da partiti (di sinistra o di destra, laici o islamismi) che cavalcano l'onda nazionalista e anti-europea.
In altre parole tra qualche mese l'Unione potrebbe scoprire che non sta "perdendo la Turchia": la sta consegnando a partiti che esprimono una certa ansia di farcela pagare.
(30 novembre 2006) da Repubblica online